Giuseppe Marotta alle Fontanelle

La lettura del racconto Fontanelle in “Gli alunni del tempo” è stata una piacevole sorpresa. Giuseppe Marotta, l’autore de “L’Oro di Napoli”, era di Materdei, conosceva quel luogo e i suoi abitanti. A prima lettura ho sentito però che in quel racconto c’era qualcosa che non andava. Ho letto e riletto e, alla fine, di mattina, quando riesco a concentrarmi meglio, ho capito cos’era.

Marotta riporta il testo dell’epigrafe che fino a qualche decennio fa era apposta sulla facciata della chiesa delle Fontanelle: “ Napoletani – Quest’ossario che contiene – Dei nostri antenati le meschine spoglie – E questo tempio – sorto per pietà di sacerdoti e di popolo – E’ ricordo funesto della lue asiatica – del 1836 – È monito di cristiana pietà ai posteri”.

Ho preso il volume “Le strade di Napoli” di Gino Doria e ho riletto lì l’epigrafe: “Napoletani – Quest’ossario che contiene – Dei nostri antenati le meschine spoglie – E questo tempio – sorto per pietà di sacerdoti e di popolo – can. G.no Barbati fondatore – comm. P.le Pasquale Placido Sen. D. R. Largitore – E’ ricordo funesto della lue asiatica – del 1836 – È monito di cristiana pietà ai posteri”.

Incredibile! Marotta aveva tolto le due righe che contenevano i nomi di chi aveva realizzato l’ossario, Gaetano Barbati e Pasquale Placido, le loro qualifiche: l’uno canonico della cattedrale e l’altro senatore del Regno e i ruoli avuti, il canonico ideatore dell’ossario e il senatore finanziatore dell’opera. I protagonisti reali erano scomparsi per lasciare il posto a donna Giulia Bove “la mamma degli scheletri”, che “ non ebbe mai un’età e una faccia plausibili”.

Il racconto è di oltre cinquant’anni fa e testimonia il modo d’interpretare le tradizioni, tipica di un’intellettualità partenopea avvezza a forzare in maniera spudorata la realtà storica verso l’oleografico, il magico e il superstizioso. Non è solo un cedimento alla moda attuale, è un modo di operare antico, ormai cronico. La storia è rimossa e al suo posto ci sono il fantastico e il mistero. Tutto si annebbia. Scelte, meriti, errori, responsabilità dell’agire umano scompaiono. Alla fine di questo percorso c’è sempre il fato, per i ceti alti, il destino, per gli altri ceti.

Chi era chi ha fatto l’ossario e perché l’ha fatto appare una domanda impertinente, provocatoria.

Anche di questo si è parlato l’altra sera al caffè letterario di Dante&Descartes a piazza de Gesù, dove Marco Schaufelberger ha presentato una straordinaria raccolta di figurine e manufatti devozionali verso le anime del Purgatorio.

Serata interessante, compromessa, però, da un buco ingiustificabile: il venir meno della promessa, sancita nella locandina, di un’offerta di uova al Purgatorio.

Organizzata da “I care Fontanelle”, la discussione continua Giovedì 29 alle 18, sempre da Dante&Descartes a piazza del Gesù, sul tema: i tempi e i luoghi del cimitero delle Fontanelle.

Senza uova al Purgatorio, forse con un bicchiere di Lacryma Cristi.

La striscia di Giovanni Lucarelli

La visita guidata di sabato 10 è andata bene. Abbiamo fatto due gruppi: uno l’ho guidato io, l’altro Mariano Cigni. Durante il percorso mi sono naturalmente soffermato davanti al teschio del capitano, dove ho ripreso l’episodio che Roberto de Simone racconta nel suo volumetto Novelle K666, fra Mozart e Napoli:

“-Ma è la storia di don Giovanni – mi scappò detto.-E chi è sto don Giovanni? Quello è il Capitano, quanto è certo Dio, domandate in giro.Ma io quasi non udivo altro che la fatidica frase del Commendatore ”Datemi la mano in pegno!” sostenuta dagli archi e da uno sforzato di tutti.”

Un visitatore ha poi chiesto dell’ipotesi che anche Giacomo leopardi, morto durante l’epidemia di colera del 1837 sia sepolto alle Fontanelle.

Ne ho parlato con Gianni Lucarelli che mi ha mandato subito la sua striscia. 

1950 – 1970. Il culto delle Anime del Purgatorio al cimitero delle Fontanelle in alcuni articoli della stampa napoletana – Terza e ultima Parte

Lo scontro giornalistico non produsse alcun risultato e la questione del cimitero delle fontanelle scomparve dalla stampa. Riapparve alla fine degli anni Sessanta quando, il 9 ottobre 1969, il n.38 di “Nuova Stagione” pubblicò un articolo, ripreso da tutta la stampa cittadina: “La Curia contro il culto superstizioso dei morti”.

Vediamo come si arrivò a quest’articolo.

Gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento furono anni di grandi cambiamenti. Ci furono la trasformazione dell’Italia da paese agricolo a paese industriale, il ’68 e l’autunno caldo. Ci fu soprattutto, per il tema che qui trattiamo, il Concilio Vaticano II.

Il contributo ufficiale napoletano alla preparazione e allo svolgimento del Concilio non fu brillante.[1] Nel 1966 a Napoli arriverà, però, il Cardinale Corrado Ursi, che darà grande impulso alla realizzazione delle decisioni conciliari. Sin dalla lettera di saluto per l’ingresso nella Diocesi egli dice: “Noi muoveremo dal Concilio. Da esso trarremo ispirazione, contenuti, orientamenti”.

I mesi e gli anni successivi furono ricchi di avvenimenti postconciliari: andarono in vigore la messa con la nuova liturgia e il nuovo anno liturgico, l’unificazione dei centri universitari con la costituzione della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e, per la stampa, nuove riviste.

Più in generale, si avviò un rinnovamento che segnò anche per Napoli la fine della religiosità nata con il Concilio di Trento.

In questo contesto, il culto delle anime del Purgatorio si esaurì. Gli ipogei delle chiese furono svuotati.

Come questo concretamente avvenne non è di facile ricostruzione. In linea di massima i resti umani presenti negli ipogei delle parrocchie furono portati alle Fontanelle e quelli delle arciconfraternite nelle sedi che queste avevano a Poggioreale. Due episodi testimoniano l’attendibilità di questa ipotesi. Il primo è quello che portò i resti umani, con due bare dei Carafa di Maddaloni, dall’ipogeo della parrocchia di Santa Maria dei Sette Dolori, al cimitero delle Fontanelle.[2] Il secondo è quello che portò i resti umani dall’ipogeo dell’Arciconfraternita dei santi Pellegrino ed Emiliano dei Farmacisti, all’Arciconfraternita dei professori di musica a Poggioreale. Questi percorsi sono documentati sia dallo stato dei luoghi, sia da lapidi. Fu un percorso molto differenziato, guidato dalla Curia, ma di cui furono protagoniste le parrocchie e le arciconfraternite. Il clima religioso in cui questi trasferimenti furono realizzati è, allo stato, di difficile ricostruzione, poiché ci sono solo testimonianze orali, spesso molto interessanti, ma a volte anche contraddittorie e senza riscontri oggettivi.

In tre luoghi l’antico culto continuò: nelle Chiese dell’Opera Pia Purgatorio ad Arco, del Convento di San Pietro ad Aram e nel cimitero delle Fontanelle. Per queste strutture arrivò la dichiarazione del Tribunale Ecclesiastico per la causa dei Santi e il Decreto del Cardinale Corrado Ursi del 29 luglio 1969 a cui esse saranno costrette ad uniformarsi.

I motivi che portarono queste tre realtà, canonicamente autonome dalla Curia Arcivescovile, a non seguire il cammino conciliare sono ancora da ricostruire e furono specifici per ogni realtà. La tradizione attribuisce le resistenze di queste strutture agli introiti che derivavano dal culto; ritengo più corrispondente alla realtà e, comunque, più significativo che esse siano state invece espressione del conservatorismo e dell’atteggiamento anti conciliare di tanti ambienti religiosi della città.

Questo percorso non investì alcuni piccoli ipogei delle tante arciconfraternite di cui sono costellate le strade del centro antico. Lì vi sono ancora presenze di resti umani; in alcuni casi si tratta di luoghi in cui è cessata qualsiasi forma di culto, in altri vi sono solo le cerimonie del 2 novembre.

L’articolo sul culto superstizioso dei morti era stato pubblicato da “Nuova Stagione”, la rivista diocesana che aveva sostituito “ La Croce” nel 1968 per rispondere al “clima di rinnovamento che investe la Chiesa e il mondo. Nuova testata, nuovo formato, nuova vitalità”.

Nel nuovo giornale diocesano il tema delle devozioni è molto discusso. Questo qui riportato sul culto dei morti non è un articolo solitario. Alcuni mesi dopo la sua pubblicazione, nella lettera Pastorale, il Cardinale dedica al tema delle devozioni un puntuale e significativo passaggio. Più in generale la rivista, nelle annate che ho consultato all’Archivio Diocesano, interviene con decisione sul tema.

Il tono generale è di cogliere ogni occasione per richiamare all’attuazione del Concilio. Così, in occasione delle benedizioni pasquali nelle case, si richiama l’attenzione su alcune forme devozionali contaminate da elementi magici e superstiziosi “Padre un po’ d’acqua in più perché c’è la mala gente…”.  Numerosi gli articoli sul culto della Madonna dell’Arco e sulle Unioni Cattoliche Operaie per superare “anacronismi e sfasature”, per evitare la questua nelle strade. Anche se sulla stessa rivista, a volte sullo stesso numero, si esprimono orientamenti contrapposti. Alcune posizioni appaiono oggi singolari: il velo che le donne devono portare è simbolo di subordinazione gerarchica e non d’inferiorità.

Molto rappresentativa mi è parsa questa risposta di Padre Gallo a una signora che lamentava la fine dei quindici sabati in onore della Madonna di Pompei.  Il sacerdote, dopo averla invitata a proseguire nella sua devozione, aggiunge: “Però… via, non dimentichiamoci certe esagerazioni. La celebrazione della santa messa diventava una parentesi evanescente in certe chiese: il popolo e i fedeli presenti continuavano a recitare il rosario corale, facendo appena qualche minuto di silenzio all’elevazione, e il celebrante del tutto isolato, quasi come se svolgesse lui un’azione privata.

Era quella una specie d’invasione, una sovrastruttura sul Sacrificio Eucaristico ed era, oltretutto un abuso. Il Concilio, riportando al suo giusto posto la liturgia, non ha voluto distruggere le buone pratiche di pietà: ha voluto solo ridimensionarle, riportare cioè anche quelle al loro giusto posto.

….Non è senza importanza e significato il fatto che il Concilio Vaticano II abbia emanato come primo e fondamentale documento la costituzione Sacrosanctum Concilium”[4].

Il Cardinale Ursi,  nella lettera pastorale del 5 marzo 1970, è molto netto e fermo: “i Pii esercizi che la Chiesa  non solo non condanna, ma raccomanda vivamente,  purché siano conformi alle leggi e siano ordinati in modo da essere in armonia con la Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium, n.13.)”

Non meno interessante è il richiamo del Cardinale  “all’autenticità della nostra missione pastorale eliminando il sospetto dello sfruttamento dei fedeli, mediante certe forme devozionali”.

La revisione delle devozioni è, dunque, un frutto diretto del Concilio.

La Sacrosanctum Concilium, infatti, insieme alla Lumen gentium e alla Dei Verbum, può essere considerata il cuore del rinnovamento conciliare: la fede del popolo di Dio ha al centro Cristo e la parola di Dio.

Negli stessi anni, nel clima di rinnovamento conciliare, c’è il riposizionamento di San Gennaro nel calendario liturgico. Il patrono di Napoli non è più un santo della Chiesa universale, ma un  santo locale. Il tradizionalismo napoletano, spesso ironico e plebeo, non sa andare oltre il: ” San Gennà, futtatenne”.

Conclusivo di questa rapida rassegna della rivista, dal punto di vista della storia del cimitero delle Fontanelle, può essere considerato questo passaggio di una risposta ad un lettore del Direttore di “Nuova Stagione”: “Ammettiamolo pure che in passato (e anche recentemente) siano avvenuti abusi e non lievi in campo religioso, per esempio circa il culto delle reliquie…”[5]

La stampa napoletana riporta la notizia del decreto del Cardinale Ursi sul culto superstizioso dei morti senza un vero commento, sostanzialmente viene pubblicata una nota di agenzia. È il risultato dello scarto enorme tra le pagine nazionali dedicate all’attuazione del Concilio e quelle locali. Le prime sono puntuali e approfondite, le seconde burocratiche, quasi inesistenti. Interessante è, comunque, come il “Il Mattino” riporta la notizia; parla di un culto ormai praticato solo da alcune vecchiette del rione Sanità. Ma, soprattutto, fa un collegamento tra il culto delle reliquie anonime nelle chiese e quello verso “Maria la sposa” a Torre Annunziata, uno dei tanti episodi delle cosiddette pratiche religiose pubbliche non ufficiali, che sporadicamente attraversano l’area metropolitana di Napoli. Emblematico è che, sotto il mantello del fanatismo, vengono accomunate manifestazioni religiose diverse quali sono quelle che si svolgono nelle chiese, sotto la diretta responsabilità del clero, e quelle che si svolgono in luoghi pubblici come i cimiteri, che quasi sempre nell’area napoletana sono acefale.

Si può concludere queste breve rassegna riportando il giudizio di “Il Tetto”, che in quegli anni conduce una dura polemica sull’attuazione del Concilio a Napoli. In un lungo articolo sulle pastorali del Cardinale Ursi scrive: “La religiosità popolare a Napoli si perpetua nello stesso modo di prima, con qualche piccolo ritocco ai santi venerabili, ma immutata nella sostanza e nelle pratiche che molta gente giudica sbrigativamente come pagane” [6]. È un giudizio duro, ingiusto se riferito alla questione specifica del culto verso resti umani anonimi, ma vero per le correnti profonde del devozionismo napoletano, penetrante sul presunto paganesimo di alcune pratiche. A Napoli non ci sono state, come in altre realtà, contrapposizioni frontali all’attuazione dei provvedimenti conciliari, secondo una tradizione conservatrice che tende ad evitare lo scontro frontale e a svuotare lentamente il rinnovamento. Il decreto sul culto dei morti suscita ancora oggi stupore perché esprime un metodo, prima ancora che un contenuto, che è di rottura per la società laica e religiosa napoletana dominata dal conservatorismo e orientata sempre verso il passato e mai verso il futuro, verso la nostalgia e non verso la speranza.

Il Tetto pubblicherà negli anni successivi diversi articoli sul tema, partecipando a quel dibattito degli anni 70/80 che la stessa rivista definisce l’orgia del popolare. In un articolo su San Gennaro sono poste due questioni che ritengo fondanti nello studio della religiosità napoletana. La prima è “una distinzione tra forme di religiosità urbana e rurale” e la seconda, posta per il culto di San Gennaro, ma che ritengo possa essere in gran parte generalizzata: “è indimostrato che il culto sia nato come espressione della religiosità delle classi subalterne ”[7].

Dal Concilio Vaticano II è passato mezzo secolo. Nel dopo Concilio spesso le devozioni, il culto dei miracoli, la materializzazione della fede sono state viste come un sintomo di arretratezza per non dire di sottosviluppo[8]. Questa è una visione molto parziale del problema, la grande scelta del Concilio e della riforma liturgica che ne è seguita fu quella di rimettere al centro della fede Cristo. Tutto il resto andava ridimensionato.

Con il Pontificato di Giovanni Paolo II, il clima verso le devozioni è cambiato, c’è stata una valanga di beatificazioni e canonizzazioni, non si è tornati indietro, ma si è presa un’altra direzione. Bisognerà vedere i risultati sui tempi lunghi. La novità più dirompente e con effetti immediati è stata un’altra. Parlando con il maestro Roberto De Simone del suo scritto sui riti al cimitero delle Fontanelle egli, a un certo punto, ha esclamato: “abbiamo sostituito le anime del Purgatorio con padre Pio, un culto mediatico”. La tenuta di vecchie devozioni e il rapporto tra devozioni e nuovi strumenti di comunicazione erano impensabili alcuni decenni fa.[9]

La scomparsa del culto delle anime del Purgatorio e la sua sostituzione con devozioni più recenti si può cogliere passeggiando nelle strade del centro storico di Napoli e osservando le trasformazioni delle edicole votive che stanno vivendo da alcuni anni una nuova fioritura.

Uno degli schemi dell’edicola napoletana prevede al centro un’immagine di Gesù, della Madonna, o di un santo e sotto una nicchia scavata nella pietra, dipinta di rosso, con dentro un crocefisso contorniato da statuette di corpi imploranti che fuoriescono dalle fiamme: le anime del Purgatorio. Queste statuette sono state negli ultimi tempi sostituite con immagini di padre Pio, della Madonna di Medjugorje, o con immagini di defunti.

Per concludere, ritengo che la lettura degli articoli di quotidiani e riviste qui pubblicati possa essere un utile contributo al dibattito tra chi ancor oggi vede nel decreto del Cardinale un mero strumento repressivo di una manifestazione di religiosità popolare e chi, invece, lo vede espressione del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II. Senza dimenticare che molto diffuse, tra il clero e il popolo, sono, ancora oggi, orientamenti che intrecciano le resistenze del tradizionalismo cattolico e le teorie del folclore progressivo.

Stenta a diffondersi, nella nostra città, quel superamento critico della nozione di cultura popolare in corso da alcuni decenni negli studi di antropologia culturale.[10]  Quella nozione in cui il popolare, per il suo essere autonomo e contrapposto alla cultura dominante e istituzionale, poteva esprimere quella consapevolezza di classe che avrebbe portato le classi subalterne a “irrompere nella storia”  (Ernesto De Martino): il cosiddetto folclore progressivo.

Su questi temi, inoltre, pesa molto l’incapacità della cultura italiana e della chiesa di conservare in maniera adeguata le testimonianze di antiche devozioni oggi scomparse, o tenute in vita solo per fini turistici, o meramente associativi. È stata solo un episodio isolato la decisione del Vaticano di consentire le celebrazioni latine in Inghilterra dopo l’appello alla Santa Sede di un autorevole gruppo di intellettuali britannici non cattolici, affinché’, dopo la riforma liturgica, il rito latino venisse considerato “patrimonio della cultura universale”, indipendentemente da qualsiasi considerazione di tipo confessionale.  Decisione che è stata chiamata ”indulto di Agatha Christie”, dal nome della scrittrice che è stata una delle firmatarie dell’appello.

La possibilità di avere a Napoli un moderno museo-archivio delle tradizioni è remota. Lo stesso Museo Diocesano, dov’è evidente lo sforzo innovativo di storicizzare, appare una testimonianza della religiosità prevalentemente dal lato artistico.

È infine auspicabile che inizino le ricerche negli archivi civili e religiosi e diano adeguato supporto alla ricostruzione storica di un periodo così significativo per la religiosità napoletana.

Nel vuoto fioriscono le ricostruzioni più fantasiose, prevalentemente orientate, secondo la moda, in senso paganeggiante e magico. In alcuni casi, siamo ben oltre l’invenzione della tradizione di cui parlano gli antropologi: siamo al falso. La collocazione e la disposizione delle bare di Filippo Carafa e Margherita Petrucci al cimitero delle Fontanelle ne sono una plateale dimostrazione[11].

A conclusione di questa nota, mi sembra opportuno porre la lettera consegnata all’Arcivescovo di Napoli, Cardinale Sepe, dal Parroco delle Fontanelle nell’autunno del 2012 e il documento delle rete della Sanità, animata da padre Alex Zanotelli, consegnata al Sindaco di Napoli Luigi De Magistris.  Sono la testimonianza di come, a sessant’anni dagli articoli del “Giornale d’Italia”, il governo del cimitero dal punto di vista culturale, civile e religioso è ancora in alto mare. A dimostrazione che a Napoli alcuni temi sono decisamente ingovernabili, almeno fino ad oggi.

Nonostante tutto questo, il cimitero delle Fontanelle è ancora oggi un luogo che ci offre una moderna e spettacolare rappresentazione della morte, lontana dal macabro, che, nel silenzio profondo e negli spazi solenni, sembra suggerire un’antica spiritualità. Credo che sia quello che poi colpisce gli artisti che visitano le Fontanelle e la rappresentazione che ne danno. Un unicum della complessa e tormentata storia della religiosità napoletana, che vale la pena di visitare e di conoscere.

Post Scriptum

Questo lavoro è stato portato a termine alcuni mesi fa. Il finale dello scritto dovrebbe essere cambiato perché il 9 aprile del 2014, Padre Evaristo Gervasoni, Parroco delle Fontanelle, è stato nominato cappellano del cimitero delle Fontanelle. È un importante passo in avanti, ma ho preferito non cambiare le conclusioni.

La Curia contro il culto superstizioso dei morti

Nuova Stagione  9 /10/ 1969 n.38

La Rivista Diocesana di Napoli “Ianuarius” ha pubblicato un Decreto del Cardinale Corrado Ursi che disciplina la pietà verso i defunti ed i loro resti mortali. Il decreto viene preceduto da una dichiarazione del Tribunale Diocesano per la Causa dei Santi che denuncia “manifestazioni di culto aberranti” in alcune Chiese dell’ Arcidiocesi, verso resti mortali di persone, a volte sconosciute.

La Dichiarazione non vuole offendere la venerazione verso i morti, tanto meno vuole distruggere la pietà verso le anime dei penanti, ma vuole stigmatizzare gli abusi, che offendono la fede e lo stesso popolo di Dio.

Difatti la Dichiarazione dice testualmente:

“Premesso che la Santa chiesa ha sempre inculcato nei fedeli il dovere di innalzare a Dio preghiere e di offrire suffragi per i defunti “affinché vengano assolti dalle loro colpe” (2 Macc. 12, 46); venera i loro resti mortali con candele, incenso, fiori, in occasione della sepoltura, perché il corpo, oltre che l’anima del cristiano, fu rigenerato alla vita Divina nel Santo Battesimo e divenne membro del Corpo di Cristo e fu continuamente santificato dai Sacramenti”.

E dopo aver accennato alla premura che ha la chiesa per la venerazione delle Reliquie mortali dei fedeli elevati agli onori degli altari, continua dicendo:

“Essa con la stessa sollecitudine proibisce di prestare il culto a resti mortali di persone ignote e combatte le manifestazioni aberranti che urtano contro la purezza della fede e producono discredito nei riguardi della loro pietà cattolica”.

Premessa la parte dottrinale, tanto chiara e precisa, la “Dichiarazione” passa all’investigazione su fatti, avvenuti nella nostra Archidiocesi, per poi venire ad una conclusione logica, tanto limpida, su cui tutti dobbiamo convenire:

“Prese in attento esame – così dice il testo – le manifestazioni di culto che in alcune chiese della nostra Archidiocesi si rivolgono dai Fedeli a resti di ossa umane variamente sistemate.

Considerato che quei resti mortali non sono identificabili a persone storicamente conosciute di cui si possa provare la santità di vita nell’esercizio in grado eroico delle virtù soprannaturali.

Dichiara che le manifestazioni di culto rivolte ai resti umani, variamente inumati, in alcune Chiese della nostra Archidiocesi, sono arbitrarie e superstiziose”.

Il documento sia pur firmato dai Monsignori Cinque e De Angelis aveva bisogno del sugello del Vescovo ed il nostro Cardinale ha fatto seguire un suo Decreto, che riportiamo integralmente:

“I resti umani che fossero visibili, sia pure dietro vetro, siano rimossi e debitamente inumati.

I Sacerdoti e tutte le persone responsabili si astengano da ogni atto che possa favorire manifestazioni indebite di culto.

I fedeli si astengano da atti contrastanti la vera devozione e, pertanto, sgraditi a Dio ed apportatori di discredito alla Religione e alle tradizioni culturali e civili del nostro popolo.

I Parroci, i Rettori, i Superiori Religiosi sono responsabili dell’esecuzione del presente decreto”.

Non vi poteva essere conclusione più bella : ”i fedeli si astengano da atti contrastanti la vera devozione”. I Parroci, i Rettori sono responsabili, questo è giusto, ma che il popolo di Dio prenda coscienza della sua corresponsabilità appare chiaro dalle parole del nostro Cardinale, che non possono non trovare eco nella coscienza di ogni vero cattolico.

MJE

Dalla Lettera Pastorale del Cardinale Corrado Ursi

Per una chiesa viva comunità di salvezza.

Nuova Stagione 5/3/1970 n.10 e 11

……………….

I Pii esercizi

I giorni feriali si prestano egregiamente a rispondere anche ad un’altra esigenza dello spirito, quella rappresentata dai Pii esercizi che la Chiesa  non solo non condanna, ma raccomanda vivamente, purchè siano conformi alle leggi e siano ordinati in modo da essere in armonia con la Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium, n.13.)

………………….

I Pii Esercizi, tuttavia, risponderanno a questa loro funzione nella misura nella quale i fedeli saranno stati opportunamente formati.

La degenerazione dei Pii Esercizi in forme devozionali contaminate da elementi magici e superstiziosi, infatti, nasce non soltanto da ancestrali tendenze mitiche, ma anche e soprattutto dalla diseducazione derivante da insufficiente catechesi e dalla strumentalizzazione, anche a fini economici o proselitistici delle devozioni popolari.

Senza ripetere cose già dette in altre circostanze invitiamo con fermezza i Parroci e i Rettori di Chiese all’osservanza integrale del Direttorio Liturgico Diocesano, che mentre salvaguardia la fede e la devozione dalle contaminazioni, offre al popolo cristiano alimento per la sua maturazione e presenta ai Fratelli di altre confessioni la testimonianza dell’autenticità della nostra missione pastorale eliminando il sospetto dello sfruttamento dei fedeli, mediante certe forme devozionali.


Parrocchia Maria SS. del Carmine alle Fontanelle

Diocesi di Napoli

Eminenza,

ogni anno migliaia e migliaia di persone vengono alle Fontanelle per visitare il cimitero, lo storico ossario della città di Napoli, testimonianza tra le più incisive dei drammi del popolo napoletano e della sua devozione verso le anime del Purgatorio.

La Parrocchia di Santa Maria del Carmine, edificata come chiesa del cimitero, e prima ancora la Parrocchia di Materdei, hanno cercato di assicurare, in stretto rapporto con la Curia Arcivescovile, che la frequentazione dell’ossario avvenisse rispettando la sua identità di memoriale della morte e di luogo di sepoltura.

La Parrocchia è stata inoltre sempre attenta a cogliere i cambiamenti che nell’ultimo cinquantennio hanno trasformato l’ossario da luogo di culto a bene culturale ed ha sollecitato e affiancato iniziative che tendessero a valorizzare il luogo, farne una risorsa per il quartiere e la città. L’associazione “I care” costituita nel 1986 è stato lo strumento con il quale la parrocchia è stata ed è presente.

Ma la straordinarietà del luogo, così come l’affermarsi di una dimensione culturale magica e misterica in larghi settori dell’opinione pubblica, richiedono oggi, come in alcuni momenti del passato, attenzione affinché non si ripropongano episodi di superstizione, o di interpretazioni folcloristiche e mercantili della storia del cimitero e della devozione verso le anime del Purgatorio.

In questa direzione la Parrocchia il 2 novembre scorso ha commemorato i defunti con una messa in chiesa e una processione nell’ossario, che ha visto un’ampia partecipazione dei fedeli delle Fontanelle ed ha avuto un carattere esclusivamente religioso. Inoltre “Icare” sta realizzando un programma che prevede visite guidate gratuite precedute da una specifica introduzione, l’apertura di un blog e la costituzione di un archivio storico dell’ossario. Si intende così essere presenti nella battaglia culturale che è in corso sulla ricostruzione della storia dell’ossario e del suo rapporto con la città.

L’associazione ha inoltre contribuito alla pubblicazione di un libro che ci è gradito regalarLe in occasione di questa sua visita alla nostra Parrocchia.

C’è anche la consapevolezza che ciò non basta.

Riteniamo necessario che venga ripristinato formalmente il rapporto tra la direzione comunale del cimitero, la società Napoli Servizi che ne ha la gestione, e la Parrocchia attraverso l’istituzione di una Rettoria che curi lo svolgimento delle cerimonie religiose ed eviti degenerazioni sia nel culto, che nell’utilizzazione del bene culturale.

Per raggiungere questo risultato chiediamo, Eminenza, il Suo sostegno.

Napoli Fontanelle, 18.11.2012

    Il parroco

Evaristo Gervasoni

  

Documento della Rete Sanità sul cimitero delle Fontanelle

 A tre anni dall’iniziativa della Rete della Sanità, che portò alla riapertura del cimitero delle Fontanelle, bisogna dire che i promotori di quell’iniziativa hanno avuto ragione. Il cimitero è entrato tra i beni culturali di maggior successo della città.

Naturalmente i problemi aperti sono tanti e vogliamo elencare quelli che riteniamo più urgenti al fine consolidare la sua apertura.

 L’identità del bene culturale oggi .

Il cimitero delle Fontanelle è un cimitero storico.  È dunque un bene culturale che deve essere sottoposto alle regole che vigono per i beni culturali e per i  cimiteri in cui non avvengono più sepolture, ma sono aperti al pubblico, come ad esempio i cimiteri militari.

Manifestazioni culturali al suo interno sono possibili, non davanti ai resti umani, ma in  un’area che deve essere attrezzata.

Gli atti di culto devono essere demandati ad una Rettoria che va ripristinata.

É  necessario che il cimitero abbia una sua Direzione Culturale, che gestisca il bene culturale in linea con quello che avviene in realtà simili. Tre esempi, tra i tanti possibili, chiariranno i problemi culturali che una direzione deve  affrontare e risolvere.

– Le bare di Filippo Carafa e di Margherita Petrucci hanno avuto nel tempo sistemazioni diverse: chi le ha decise e, soprattutto, in base a quali criteri ?

-È stata posta una piccola targa davanti al teschio del Capitano a ricordo della presentazione di un libro fatta dentro il cimitero: chi l’ha consentito e perché ? Alla prossima presentazione metteremo una nuova targa?

– La lapide dell’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore sta andando in rovina. La sua perdita sarebbe un danno grave alla documentazione sulla storia del cimitero. Chi deve intervenire?

La Direzione culturale del Cimitero dovrebbe essere affiancata da una Consulta delle Associazioni del quartiere e di quelle che organizzano le visite guidate, con poteri di proposta e di controllo.

La querelle che da decenni va avanti sulle competenze amministrative tra i diversi assessorati è penosa e non può essere lasciata, come in passato, ai rapporti di forza tra i diversi assessori: è di tutta evidenza che sono interessati sia l’ assessorato ai cimiteri (che gestisce gli altri cimiteri storici napoletani), che l’assessorato al sottosuolo, ma la direzione effettiva non può che essere dell’assessorato alla cultura per la peculiarità storica, religiosa e antropologica che è prevalente sulle altre caratteristiche del luogo.

 La storia del bene culturale.

  Il modo come viene presentato il cimitero ai visitatori è un problema. I molti scritti che si sono succeduti negli ultimi tempi sono espressione di quel postmoderno alle vongole che ha abbandonato i filoni gloriosi della cultura napoletana per rinchiudersi in visioni misteriche e devozionistiche della storia della città. In questo, come in altri luoghi della città, si tende a forzare i dati storici e antropologici per presentare una realtà intessuta di magia e superstizione. La recente polemica sul cosiddetto “Cavaliere di Toledo” è emblematica della deriva culturale che da tempo ha investito la città. Bisogna riportare la storia del cimitero ai suoi tre aspetti principali: la storia delle sepolture a Napoli; la storia delle devozioni e della religiosità – cioè del rapporto tra fede e società; la storia delle grandi calamità che hanno periodicamente colpito la città.

Ferma  restando la libertà delle opinioni, c’è il problema delle visite guidate che, soprattutto se fatte da guide autorizzate dalla Regione Campania, non possono non attenersi a degli standard culturali minimi. Non si tratta di mettere in moto meccanismi di dirigismo culturale, ma di invitare coloro che fanno le guide a seguire dei brevi incontri in cui vengono presentati documenti, dati storici del cimitero e bibliografie che poi saranno liberamente e individualmente elaborati.  Il Comune di Napoli deve fare una brochure breve e semplice da dare gratis a ogni visitatore. Se ci sono difficoltà economiche si può dare anche una fotocopia! La ricerca storica e antropologica sui temi sopra indicati deve continuare  e investire innanzitutto le istituzioni a ciò demandate:  Università e Istituti di Ricerca.

Utilizzazione del bene culturale.La gestione attraverso Napoli Servizi ha consentito una continuità nell’apertura; la gratuità delle visite è stata ed è positiva, perché incentiva la conoscenza del cimitero. Ma in tempi certi bisogna arrivare ad una gestione economica del bene culturale, altrimenti la prospettiva sarà incerta. D’altra parte, oggi la maggioranza delle visite è fatta da Associazioni che fanno pagare un contributo che va dai cinque ai dieci euri. Che una parte di questi introiti, anche piccola, vada alle casse comunali, è  giusto.

Napoli Sanità, maggio 2013


 

[2] R. Civitelli, Filippo Carafa di Cerreto e l’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore al cimitero delle Fontanelle, Napoli 2013, p. 15.

[3] R. Civitelli, Il cimitero op cit., p.56.

[4] “Nuova Stagione”, n. 5, 1971.

[5] “Nuova Stagione”, n. 8 luglio 1971 n. 28 p.4.

[6]  “Il Tetto” n.  43/441971, p.56.

[7]  “Il Tetto” n.76  1976 p.377. R. Civitelli, cit. p.69

[8] S. Luzzatto, Quei miracoli fatti in casa, “Il Sole 24 Ore”, 10 giugno 2012.

[9] E. Fattorini, Italia devota, Religiosità e culti tra Otto e Novecento, Carrocci editore, 2012

[10] F. Dei, Università di Pisa, Dove si nasconde la cultura subalterna? Folk e popular nel dibattito antropologico italiano. www.fareantropologia.it, 21 febbraio 2010.

 [11] R. Civitelli, Filippo Carafa di Cerreto e l’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore al cimitero delle Fontanelle, Napoli 2013

I care al maggio dei Monumenti 2014

I care fontanelle partecipa al maggio dei monumenti 2014 con queste iniziative

Il cimitero delle Fontanelle:
alla scoperta di riti e devozioni, storie e leggende napoletane:
Visite guidate max 20 persone
3, 10, 17, 24 maggio
orario: 10.00
ingresso: gratuito
Seminario
29 maggio orario: 17.30
Libreria Dante & Descartes
piazza del Gesù

info 328 4790743; 330 242218

Sulla nomina del cappellano al cimitero delle Fontanelle

Molti mi hanno chiesto: che significa che è stato nominato il cappellano al cimitero delle Fontanelle?
Ecco la mia risposta. La nomina del cappellano al cimitero delle Fontanelle è il tentativo di riportare la sua gestione nell’alveo di una “normalità” che può derivare solo dal riconoscimento della sua natura di cimitero storico.
Sembra una banalità, ma non lo è. Oggi il cimitero è terra di nessuno e, come dimostra la vicenda della statua del Sacro Cuore andata in frantumi, corre il rischio di subire danni irrecuperabili.
Pur essendo consapevole che nella Chiesa napoletana esistono opinioni molto differenziate sul cimitero, credo e spero che la decisione della Curia di nominare un cappellano significhi che l’istituzione religiosa ha deciso di essere più presente.
Il lavoro della nostra associazione è testimonianza di un impegno della parrocchia che non si limita alle questioni di culto, ma affronta i complessi problemi culturali che la storia e la gestione del cimitero pongono.
Anche se il culto delle anime del purgatorio si è ormai esaurito, il cimitero resta un luogo sacro e poiché è aperto al pubblico, devono essere rispettate alcune norme elementari che attengono al vivere civile. Mi riferisco, ad esempio, all’esigenza che non si svolgano feste o manifestazioni culturali dove sono esposte le ossa e alla necessità che le cerimonie religiose, come quella del due novembre, siano curate da un cappellano.
Purtroppo le altre istituzioni (il Comune di Napoli proprietario e la Sovrintendenza ai beni storici artistici ed etnoantropologici) non hanno idee chiare su come muoversi quando si tratta del cimitero delle Fontanelle, prigioniere ancora di schemi culturali inadeguati. Più in generale, la cultura napoletana, per quanto riguarda la questione del cimitero, è lontana dal rigore nella ricerca storica e antropologica e da scelte tecniche adeguate alla salvaguardia ed alla fruizione del bene culturale.
Se si va su internet e si vede la scheda tecnica dell’ultimo restauro, costato ben due milioni di euro, ti renderai conto che la “ lettura rigorosa dell’Ossario luogo del dialogo con le anime del Purgatorio” a cui si sono ispirati i lavori, ha lasciato tanti problemi aperti sia sul piano della ricostruzione storica (la collocazione della bare dei Carafa ), che della conservazione dei beni (altare del Sacro Cuore e lapide dell’arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore in disfacimento) e delle continue infiltrazioni di acqua .

Rocco Civitelli

La Curia Arcivescovile napoletana nomina padre Evaristo Gervasoni cappellano del cimitero delle Fontanelle

La pubblicazione della terza e ultima parte della ricerca “1950 – 1970. Il culto delle Anime del Purgatorio al cimitero delle Fontanelle in alcuni articoli della stampa napoletana” è rinviata a lunedì prossimo.

Diamo priorità alla notizia della nomina a cappellano del cimitero delle Fontanelle del parroco delle Fontanelle, Evaristo Gervasoni.

È un passo importante nella direzione in cui ci siamo mossi in questi anni:

– far riconoscere alle istituzioni napoletane che alle Fontanelle c’è un cimitero storico, un luogo che è nello stesso tempo luogo sacro e bene culturale, sottoposto alle regole che vigono per i cimiteri in cui non avvengono più sepolture e sono aperti al pubblico, come gli ossari e i cimiteri monumentali che si trovano in tutta Italia e in tutto il mondo;

– favorire le ricerche sulla storia di questo luogo così rappresentativo della storia degli ultimi centocinquanta anni della città di Napoli;

-contrastare “l’impressionante” tendenza a dare della religiosità napoletana una rappresentazione più arretrata di quella che realmente è.

I care-fontanelle ringrazia tutta la Curia Arcivescovile napoletana e in particolare il Vicario Generale, Monsignor Lucio Lemmo, per questa importante decisione che ci impegna ad andare avanti.

 

1950 – 1970. Il culto delle Anime del Purgatorio al cimitero delle Fontanelle in alcuni articoli della stampa napoletana – Seconda Parte

Nel suo racconto “Il Purgatorio”, Domenico Rea non entra nel merito delle questioni affrontate dagli articoli del “Giornale d’Italia e della “Croce”, ma riconosce e sublima il ruolo svolto dalla Chiesa povera durante i bombardamenti a Nofi, la località in gran parte identificabile in Nocera Inferiore, luogo di nascita dello scrittore. Il racconto ha diverse sfaccettature. La prima descrive  l’atmosfera di Nofi durante la guerra con i bombardamenti lontani: “si vedevano né più né meno come in un cinema”; la seconda descrive la cittadina sottoposta ai bombardamenti, la fuga delle istituzioni dalle loro responsabilità e il trauma della popolazione; la terza è un finale denso, asciutto , essenziale: il prete povero inciampa, con il sacramento in mano, in un buco del giardino che porta “nel  ventre della terra, che da allora fu chiamato Purgatorio”. Il prete suona le campane e la gente corre a rifugiarsi in questo Purgatorio. Il punto chiave del racconto è la Chiesa povera “ Anche i preti eranno scomparsi”. Era rimasto “Solo don Giuseppe, un prete a sé, un escluso, un punito, un confinato”.

Come interpretare questo scritto di Rea?  “Cristo si è fermato a Eboli” era già stato pubblicato ed aveva avuto un’eco vastissima, ma il folclore progressivo non era ancora venuto alla ribalta. Ernesto De Martino ancora non aveva pubblicato i suoi scritti sulla religiosità popolare. Una chiave di lettura può essere data collegando il racconto al film “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini di alcuni anni più tardi, che ha alcune  scene girate dal regista proprio nel cimitero delle Fontanelle. Quelli che scendono nelle grotte di Nofi con il prete e quelli che vanno al cimitero delle Fontanelle, sono come quelli che nella famosa scena finale del film partecipano alla processione dell’Addolorata durante la quale avviene il miracolo: Innocenti. “Come possono credere a queste cose, sembrano tanti bambini”, dice il protagonista Georges Sanders rivolto alla moglie Ingrid Bergman, prima che l’atmosfera scatenata tra la folla dal miracolo coinvolga e trascini sia lui che la moglie verso una ricomposizione affettiva e familiare impensabile qualche istante prima.

“Purgatorio” anticipa quelli che saranno poi i temi del folclore progressivo e si colloca all’interno della cristologia popolare napoletana. Una delle tante creazioni/invenzioni della cultura partenopea: “… il napoletano non conosce Dio, e nemmeno ha bisogno di lui, e mai, nelle sue preghiere, si rivolge a lui, ma sempre e soltanto a Gesù, alla Madonna e alla famiglia dei santi. Non si rivolge a Dio perché Dio non è antromorfizzabile….e’ un fiato. Un’idea. Non si è mai fatto vedere e non si vedrà mai…mentre Gesù e la sua Sacra famiglia sono discesi in terra e hanno visto da vicino le necessità e i bisogni delle creature” [1]. Anche tra i santi la scelta è netta. Rea così descrive piazza San Domenico Maggiore: “Al centro, come un totem, si leva il secentesco obelisco eretto a San Domenico, un santo certamente familiare a Napoli a un’èlite intellettuale ma sconosciuto alla plebe, che a lui preferì sempre il più domestico San Gennaro, così plateale nei suoi miracoli e nelle sue manifestazioni”. E prosegue mettendo tra parentesi, come di un evento misterioso: “sembra che nell’attiguo convento San Tommaso abbia terminato la sua Summa teologica[2].

In “Le due Napoli” Rea va oltre, egli ritiene che le uniche armi dei poveri per vincere la miseria siano gli espedienti e i sotterfugi e vede nel “contrabbando un momento storico importantissimo come aspirazione al lavoro, a costruirsi una casa, a fondare una famiglia civile[3].

La cristologia popolare se coglie certamente un modo di essere di alcuni strati della popolazione si presta anche a coprire quei fenomeni di religione a proprio uso e consumo o, con terminologia postmoderna, di religione usa e getta che affliggono la realtà napoletana. Ma, soprattutto non tiene conto del fatto che un tema come l’antropomorfismo, che in modo controverso caratterizza in tutto il mondo la religione cattolica non solo non ha impedito, ma ha contribuito  a chè una specificità della storia culturale napoletana fosse quella di essere stata terra di grande filosofia  e  di grande musica, discipline per definizione astratte e basate sulle idee.

Sono dunque molti gli aspetti del difficile e complicato tema della religiosità e del devozionismo partenopeo, che ancora aspettano di essere adeguatamente indagati. Tempo fa ho incontrato Romeo De Maio cui ho chiesto come mai non avesse proseguito i suoi studi sulla società e la vita religiosa a Napoli. Lo studioso mi ha risposto, con sorriso tra l’ironico e il misterioso, come solo le persone molto anziane sanno fare, che la materia è ancora troppo ardua, consigliandomi la lettura del suo saggio “La parte di Napoli che muore – religione etica e religione quieta[4]” che è di estremo interesse per la conoscenza della religiosità napoletana nel secondo Novecento.

[1] R. Guarini , La sua musa creaturale, in  Rea, Opere, cit., p.XXXII.

 [2] D. Rea, Pagine su Napoli, Azienda Autonoma di soggiorno cura e turismo, Napoli 1995, p. 65.

[3] Rea, Opere, cit., p.1339.

[4]  R. Di Maio, La parte di Napoli che muore, religione etica e religione quieta, Estratto da” Cronache napoletane”, Napoli Ottobre 2002.

Purgatorio

di Domenico Rea

Il Tempo /13 novembre /1950

Nell’ultima guerra, a N+++, come in centinaia di paesi della Campania vennero a rifugiarsi migliaia di napoletani e parenti, congiunti e amici di nostri contadini delle altre città d’Italia più esposte ai bombardamenti. N*** nel giro di un anno, moltiplicò per due  e per tre i suoi trentamila  abitanti e si trasformò in una allegra città di villeggiatura. La gente, costretta all’ozio, passeggiava, visitava i colli, si spingeva fino al mare di Vietri, organizzava feste e trattenimenti. Si videro coppie d’innamorati, alti alti, vestiti alla moda, passeggiare abbracciati per le pubbliche strade, accarezzarsi e sbaciucchiarsi senza che nessuno osasse levare un dito: perché quelli erano signori dai paesi civili dove si usa far pubblicamente queste cose. Anzi il loro esempio fece scuola e al vespro N*** si trasformò in un paese vivacissimo di baldi giovani e di fanciulle settentrionali e cittadine dal corpo esile e dalla bocca immensa truccata. L’ufficio postale prese un aspetto di locale internazionale, i caffè spinsero i tavolini fin nelle strade e, alla sera, si aspettava, chiacchierando e giocando, il solito bombardamento su Napoli.

Appena la sirena fischiava, si saliva in terrazza  e si guardavano i grappoli di razzi sospesi nel cielo lontanissimo e curvo che non si sapeva se era mare o cielo. L’allarme era una distrazione e un’eccitazione singolare e quando una sera passava senza “nulla di fatto” ci si addormentava vestiti, per essere pronti a rifugiarsi, delusi e increduli. Le ragazze e i ragazzi desideravano di essere una volta tanto protagonisti di un bombardamento, per la facilità con cui si susseguivano su Napoli senza che alcun sostanziale mutamento si verificasse l’indomani nella vita di N***. Da N*** i bombardamenti su Napoli si vedevano né più né meno come in un cinema, in cui lo spettatore assiste alle più spaventose sciagure mentre succhia una caramella. Il cuore voleva vendicarsi di anni e anni di noia ; e anche le persone più serie, più impegnate nel desiderare la pace, non furono mai costernate.

 I commercianti, i fornai, gli albergatori i cocchieri cominciarono a vivere la loro grande stagione e nessuno credeva nella propria morte personale; perché N***, dopo tre anni, non contava un morto o una tegola volata via.

 Ma all’improvviso, dopo le feste del luglio 1943 come un rapido cerchio che si restringa al suo centro a vista d’occhio, intorno a N*** cominciò a vedersi una barriera di fuoco. Da una sera all’altra il paese fu come abbandonato. Chi in fretta e furia, rifece le valigie per ritornate in alta Italia, chi per perdersi in qualche campagna. Si vedevano portoni sbarrati, altri lasciati aperti. Mezzogiorno, per solitudine e silenzio, sembrava mezzanotte. Dal quartiere fuggirono i soldati; dai  carceri i carcerati; dagli ospedali i malati che potevano abbandonare il letto, mentre gli altri gridavano e imploravano di essere trasportati fuori. Ai commercianti successero i primi contrabbandieri, che comparivano negli angoli delle strade: aprivano il sacco, vendevano e scomparivano. E la gente cominciò a impazzire dentro le mura della città.

Per qualche ora, al mattino presto, quando le speranze sono ancora attive nel petto dell’uomo, si verificava un po’ di traffico. Si scappava fuori dalle cantine-tane per un po’ di farina, per un pezzo di carne. Appena moriva un cavallo, la gente se lo trascinava nelle cantine e tagliavano fette dalle polpe delle cosce. Poi, al primo rombo o al primo colpo d’artiglieria (si era capitati tra due fuochi), via, dentro i palazzi chiusi a doppio giro di chiave, quasi le bombe dovessero entrare dal portone e il doppio giro di chiave rassicurasse gli animi. “Il portone è chiuso a chiave non c’è pericolo”.

Ma il cerchio si stringeva e le persone nelle cantine-tane, con la testa curva sotto i tetti umidi, un corpo vicino ad un altro, rischiarati dalla fiamma di una superstite candela, avevano i volti uguali perché comune era il dolore. Era un terrore diverso: il naso storto di uno sembrava più storto, le orecchie piccole di un altro sembravano avvampare e dilatarsi, i baffi di un altro tremavano anche senza vento sulla pelle gialla.

Una notte gli aerei vennero proprio su N***. Non c’era niente a N***, oltre le case, le campagne piene di cavoli e i campanili delle chiese. Pure gli aerei vennero e si fermarono, quasi che, come le automobili, potessero fermarsi e mantenere acceso il motore. Questa fu l’impressione. Gettarono alcuni quintali di bombe, che caddero nella profondissima anima di ciascuna persona, e per caso, su un palazzo popolare (dietro la ferrovia) capace di sette-ottocento inquilini. Nella stessa notte si sparse la voce: “Stanno morendo cinquecento persone nelle cantine di dietro la ferrovia” Erano nostri concittadini. Li dovevamo conoscere per forza. Qualcuno andò a brancolare con qualche fiaccola su i sepolti vivi e a raccogliere gli urli della loro agonia in tutta sanità e bestialità di corpo.

Ma i più, i quasi tutti, calarono la testa e si limitarono a dire uno sfacciato “requiem” in coro, mentre quelli dovevano ancora avere il cervello, pieno di esaltate e sempre più violente speranze, decisi a sollevare a colpi di testa, di petto  e di pancia, la montagna cadutagli addosso. Uno, un facchino, Barraccone, fortissimo, riuscì a far scoppiare le pietre che lo opprimevano e, uscito fuori, rivedendo il pericolo corso con l’accumulazione fantastica della memoria, si mise a gridare – come si grida quando il pericolo è passato – per le strade del paese. Ma la voce se ne volava sopra i tetti, non gli ricadeva nemmeno nell’anima: una voce perduta.

Andò al corpo di guardia e una superstite guardia fu seccata di essere colta in flagrante nel punto dell’onore, che non aveva.

Baraccone gli disse: “Vieni è tuo dovere aiutarmi. Bisogna tirarne cinquecento, tutti vivi”. La guardia rispose: “Ah davvero, mamma mia, che disgrazia. Vuoi le torce? Prendine quante ne vuoi”. “ Vieni o ti scanno” ripetè baraccone alla guardia, con una faccia di bestia esaltata. La guardia fece cenno di aspettare e scappò via per una seconda uscita. Dopo quella notte, il facchino non volle più salutare un essere umano e tuttora vive a N*** come un eremita di se stesso.

Anche i preti erano scomparsi. Solo don Giuseppe, un prete a sé, un escluso, un punito, un confinato a reggere la Monachelle, una chiesetta fuori mano, continuava ad aprire la Monachella e a dir messa. La mattina della scoperta, per una sopravvenuta incursione, fu costretto a scappare col Santissimo Sacramento nel rifugio del giardinetto, quando un piede gli sprofondò nel terreno. Con mezza gamba nel buco, abbracciato il Santissimo restò in attesa. Rifattasi la calma, ritornò in chiesa, rinchiuse il Santissimo nel tabernacolo e ritornò sul posto dello sprofondamento.

C’era un buco simile a quello che si può praticare su un uovo di cioccolato. Non era terra; era una scorza di creta; e dentro un vuoto buio profondo e largo quanto più il badile frantumava la scorza. Un buio contorto, con tracce chiare al contatto della luce. Don Peppe ritornò in chiesa, si munì di una fune, di una torcia e, legatosi, si calò nell’abisso. Dopo un’ora risaliva con la faccia stravolta e andava direttamente a suonare la campana a festa. La notizia della scoperta si sparse come un lampo per l’intero paese, e per i paesi vicini, giunse fino a Cava, fino ai paesi dei monti di Salerno. Più la diffusione della notizia che la scoperta del buco ebbe del miracoloso. Era un buco capace di contenere 50 mila persone e scendeva nella terra fino a 17 metri di profondità. Si trattava di una tufara sfruttata e abbandonata. Era scavata a volte, pareti bianchissime, umidissime. Aveva la forma di un incubo, ma di un incubo reale, solido. Le bombe vi tambureggiavano sopra:”tam! Tam!”, ma la scorza era protetta da una molle terra, per metri, e le bombe vi si insabbiavano.

Due ore dopo vi arrivarono le prime truppe di gente. S’insabbiavano come le formiche con le provviste sulle spalle. File di esseri umani, a passo svelto, dal viale del giardino, scendevano nel ventre della terra, che fu chiamato Purgatorio.

1950 – 1970. Il culto delle Anime del Purgatorio al cimitero delle Fontanelle in alcuni articoli della stampa napoletana – Prima Parte

La cronaca di questi giorni ha portato nuovamente alla ribalta il cimitero delle Fontanelle.
Riteniamo un utile contributo al dibattito attuale portare sul web una ricerca fatta sulla stampa napoletana tra il 1950 e il 1970. Si tratta di articoli rappresentativi di orientamenti che per Napoli possono dirsi epocali.
Poiché si tratta di molte pagine, le pubblichiamo in diverse puntate settimanali, ovviamente di lunedì.

Prima parte
Il 21 e il 22 ottobre del 1950, alla vigilia della commemorazione dei defunti, sul quotidiano “Il Giornale d’Italia” sono pubblicati due articoli che denunciano i fenomeni d’idolatria, di feticismo e il commercio di resti umani che avvengono nel cimitero delle Fontanelle.
Il 29 ottobre, la Curia arcivescovile, chiamata in causa, risponde con un articolo su “La Croce”, firmato dalla Direzione.
Il 13 novembre, Domenico Rea pubblica sul quotidiano “Il Tempo” un racconto: “Il Purgatorio”, che ripubblicherà, sostanzialmente identico, sul “Roma “ del 5 aprile 1951.
Il 9 ottobre 1969, “Nuova Stagione” pubblica “La Curia contro il culto superstizioso dei morti”.
Quelli del “Giornale d’Italia” sono gli unici articoli che ho trovato in cui ciò che accade nel cimitero delle Fontanelle non è visto dal versante folcloristico o antropologico, ma dal versante delle responsabilità religiose e civili nella gestione del cimitero. Anche gli articoli della “Croce” e di “Nuova Stagione” sono gli unici che ho trovato in cui la Curia Arcivescovile interviene direttamente .
“Il Giornale d’Italia” e “Il Tempo“, sono stati storici giornali conservatori romani con pagine napoletane. “La Croce” è stato il giornale ufficioso della Curia napoletana sostituito nel 1968 da “Nuova stagione”.

Il Giornale d’Italia parla con durezza di ciò che avviene alle Fontanelle con il consenso del parroco e del guardiano. Sono descritte scene di fanatismo e indicati i prezzi per l’acquisizione delle ossa a scopo di culto o di studio. Cose non nuove, ampiamente riportate nei tanti scritti che già all’epoca c’erano sulle Fontanelle, la novità è che il taglio dello scritto non è folcloristico, ma d’indignazione civile. Interessante è la mini inchiesta che il giornalista cerca di realizzare al Comune di Napoli e in Curia, per cercare un’assunzione di responsabilità su ciò che accade nel cimitero. Le risposte che ottiene sono sempre vaghe o generiche e la conclusione a cui il giornalista arriva è: tutto è abusivo.
Comunque, le domande fatte ai Monsignori sono riportate negli articoli. Esse sono incalzanti, l’attacco alla Curia è frontale: “Perché le autorità ecclesiastiche non hanno mai fatto nulla per chiudere questo luogo, ove si offendono i principi morali e religiosi della Chiesa?” Anche le responsabilità del Comune, che è proprietario e gestore del cimitero, sono individuate con precisione. Alcuni particolari storici, come la sequenza dei parroci, sono sbagliati, ma alcuni interrogativi sono veri: l’ingresso al cimitero dalla sagrestia è abusivo? Se si, perché è stato fatto? Perché è tollerato dalle autorità civili?
Il giornale della Curia risponde con impaccio. Ribadisce che c’è un conflitto con il Comune, che non riconosce il ruolo del Parroco o di un Cappellano gli unici che potrebbero intervenire di fronte a “pratiche religiose pubbliche anche se non ufficiali”. Ma poi, nel merito, invoca problemi di giurisdizione o rinvia alle responsabilità dell’Amministrazione Comunale cui compete la gestione del cimitero. Nello stesso tempo evidenzia la consapevolezza della difficoltà del tema e la problematicità con cui esso è vissuto dalla Chiesa napoletana. Conclude, infatti, l’editoriale firmato dalla Direzione: “Ci risulta che la cosa è da tre mesi allo studio dell’Autorità Ecclesiastica. Non è stato possibile giungere alla soluzione finora per varie ragioni anche perché si tratta di enti non soggetti completamente alla giurisdizione dell’Ordinario del luogo. Comunque possiamo assicurare i lettori che disposizioni tassative saranno emanate tra breve”.
Per cogliere fino in fondo il significato dello scontro giornalistico sopra riportato, bisogna ritornare a quel 1950 in cui tutta la società napoletana è ancora impegnata a superare la guerra e il dopoguerra. Non bisogna mai dimenticare che Napoli è stata una città occupata dalle truppe alleate ben oltre la fine della guerra con danni indimenticabili. Nel secondo articolo del “Giornale d’Italia”, c’è una breve intervista al prof Carlo Ronga che, riferendosi a quanto avveniva nel cimitero, parla di “dimenticare la follia collettiva e turbinosa che ha sconvolto la coscienza di molti nell’immediato dopoguerra”.
L’anno prima era stato pubblicato “La pelle”, il libro in cui Curzio Malaparte aveva narrato della disperazione e della corruzione dei napoletani durante l’occupazione militare degli alleati. Il libro aveva scatenato un appassionato dibattito con una dura condanna del Consiglio Comunale, della Curia e del Vaticano. Altre opere di quegli anni alimentano la discussione: basterà qui citare su versanti opposti, “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo rappresentata al San Carlo nel 1945, mentre gli avvenimenti di cui parla il testo teatrale erano in corso, che esce nella versione cinematografica e suscita polemiche, proprio nel 1950, e il saggio ”Le due Napoli” di Domenico Rea sempre, del 1950.
La città era divisa. Da una parte la consapevolezza che il superamento del dopoguerra passava attraverso una presa di coscienza esplicita e dura di quello che era accaduto, dall’altro uno sforzo teso a minimizzare e giustificare il tutto e, a tratti, perfino assumerlo come un momento di crescita civile. Come spesso accade nella realtà napoletana, si fronteggiarono (e si fronteggiano) posizioni non solo diverse, ma radicalmente contrapposte e la comprensione di un’epoca, che vede la città passare dall’insurrezione contro i tedeschi delle quattro giornate, all’amministrazione della Giunta Comunale populista di Achille Lauro, resta uno dei tanti nodi irrisolti della storia napoletana.
Lontano da Napoli e a livello nazionale il giudizio è salomonico: quel che accadde nel lungo dopoguerra napoletano fu la rivelazione di piaghe antiche e perenni che la guerra aveva incancrenito ed esasperato ma non creato in una società segnata da scompensi secolari.

Giornale D’Italia  sabato 21 ottobre 1950
 Uno sconcio Inqualificabile/Commercio di resti umani

Nell’Ossario delle Fontanelle/Il popolino, abusivamente appoggiato dal parroco e dal guardiano, si abbandona a scene di idolatria e feticismo

(A.R.) ”Requiescant in pace” è la cristiana frase di chiusura di ogni vita terrena; ma una considerevole parte del popolino napoletano non è di questo avviso se ha creato intorno ad un luogo che dovrebbe essere considerato sacro un fitto velo di assurdo feticismo e di inconcepibile idolatria.

Intendiamo parlare del “Cimitero delle Fontanelle” situato al limite estremo dell’omonima via, proprio sotto il costruendo rione di Mater Dei.

In fondo a questa via, l’ingresso ai cunicoli sotterranei è praticato arbitrariamente nella sacrestia della parrocchia. Una volta entrati, allo sguardo allibito  del visitatore compaiono centinaia di migliaia di teschi e ossa umane accatastati in una disumana confusione, cui hanno contribuito e contribuiscono il popolino, i guardiani del comune e gli stessi sacerdoti della parrocchia.

Fra i teschi e le ossa, di tanto in tanto, l’occhio scopre con raccapriccio i resti semifossilizzati di corpi incompleti di adulti e di bambini, ai quali migliaia di lumini, danno , con le loro fiammelle, un chiarore sinistro.

Migliaia di questi teschi hanno particolari segni di riconoscimento fatti a matita, a penna, col gesso. Centinaia e centinaia sono collocati in minuscoli loculi di marmo recanti scritte ampollose ed assurde; a centinaia si contano i teschi separati dagli altri da un foglio di carta o da un fazzoletto per indicarne la proprietà.

Scene di Fanatismo

Una parte del popolino attribuisce a queste ossa miracolose virtù taumaturgiche. Di conseguenza si assiste a continue scene di isterismo e di fanatismo. Donne e uomini prostrati invocano a gran voce l’intervento di spiriti purificatori; altri recitano concitatamente preghiere scritte in proposito, altri ancora, in tutta fretta, depongono ceri: quattro, cinque, dieci alla volta, e dopo aver baciato il teschio, si allontanano soddisfatti.

Bambini ti tutte le età assistono col terrore negli occhi a questi episodi che non dimenticheranno più.

In seguito a questo inqualificabile stato di cose abbiamo sentito il dovere di interessarci fino in fondo della faccenda, ed abbiamo accertato, con prove inconfutabili, che nell’interno di questa bolgia dantesca, si pratica un vero e proprio commercio di ossa umane.

Prezzi per ogni borsa

Il prezzo varia dalle 500 alle 5000 lire, in dipendenza delle virtù miracolose ad esse attribuite, in prevalenza al popolino per le pratiche di culto, a studenti universitari per studi scientifici, e a collezionisti per raccolte d’arte. Servono perfino a sedute spiritiche.

Vi è inoltre una fitta schiera di persone, le quali, dietro compenso, indovinano, posando una mano su un teschio, il futuro; altre che dopo strambe operazioni, danno numeri (noi ad esempio abbiamo avuto per sole 100 lire 47-48-30 su Napoli); altre ancora che rivelano la pseudo generalità del teschio in parola; e , infine, v’è pure gente disposta a confezionare cuscini, fazzoletti ricamati, nicchie in legno ed in marmo su cui disporre teschi miracolosi, o a recitare per poche lire preci e rosari.

Ci siamo recati al Comune  ed il risultato della nostra indagine è stato il seguente. Il Comune di Napoli è in parte a conoscenza di quanto avviene, diciamo in parte, perché sembra che il guardiano non sia mai stato troppo preciso nei suoi rapporti al Comune.

All’ufficio competente sono state respinte numerose domande di introduzione di urne ed altro.

Tutto è abusivo

Tutto ciò che in questo ossario esiste ed accade è abusivo: dall’entrata praticata nella sacrestia della parrocchia, alle nicchie contenenti i teschi; dalle funzioni religiose che il parroco padre Gelanzè celebra, ai permessi che concede il guardiano signor Guidone.

Ci risulta che da circa quattro anni, il parroco tenta di ottenere con ogni mezzo, ma inutilmente, grazie al buon senso del Sindaco, la direzione dell’ossario, senza alcuna ingerenza laica, e quel che è più grave sembra che, ad appoggiarlo, malgrado il parere sfavorevole di molti autorevoli prelati, sia la stessa Curia Arcivescovile, della quale siamo certi, è stata carpita la buona fede.

Molto tempo fa, quando la chiesa non era stata ancora costruita, il canonico Mariano Colella, colpito da quanto avveniva nell’ossario e visto che le cerimonie religiose venivano celebrate nell’interno di esso, iniziò una raccolta di fondi fra gli stessi fedeli, per la edificazione di una chiesa, la cui presenza avrebbe dovuto ovviare ai gravi inconvenienti che noi oggi abbiamo denunciato.

L’opposizione del Parroco

All’opera di questo nobile canonico si è opposto il Parroco, il quale per fini che preferiamo tacere, ma che sono a conoscenza di tutte quelle persone autorevoli con le quali abbiamo avuto modo di parlare, vorrebbe avere l’assoluta priorità “senza ingerenza di laici” su questo luogo.

Proseguendo nelle nostre indagini ci è stato detto dalle autorità competenti che il Comune non ammette né riconosce culto nell’ossario delle Fontanelle.

Il compito specifico del guardiano dovrebbe essere quello di aprire solo il lunedì, di non fare entrare niente (vi sono nicchie del 1950) e naturalmente di non far trafugare nulla.

Dal punto di vista giuridico, al fine di stabilire le responsabilità circa gli sconci e i reati che vi si commettono, abbiamo accertato che l’esistenza dell’ossario è legale.

Essendo dunque legale, la responsabilità di quanto in esso avviene ricade sulla Direzione dalla quale dipende anche il guardiano, sul Rettore del Cimitero e sul Comune che dovrebbe curarne la sorveglianza fino a quando le autorità non interverranno per sopprimerlo, chiuderlo o adibirlo ad altro uso.

 

 

Giornale D’Italia  Domenica 22 /10/1950

 La nostra inchiesta sull’ossario/La Curia ha svolto indagini/Ma non ha ritenuto opportuno intervenire/“È una cosa di eccezionale gravità” dice il professor Ronga – Anche in un’altra Chiesa si verifica lo stesso sconcio

 

(A.R.) Ci siamo recati nella Curia Arcivescovile per poter conoscere da mons Rinaldi o mons Castaldi il parere circa quanto avviene nell’ossario delle Fontanelle, cioè il trafugamento di resti umani, l’illecito commercio di teschi, le sedute spiritiche, le cerimonie religiose. Tuttavia malgrado la nostra buona volontà, non siamo riusciti nell’intento.

Infatti i Monsignori erano occupati in una riunione di parroci. Abbiamo parlato con altri Monsignori i quali però non hanno voluto assumersi la responsabilità di un parere sull’argomento.

Ad ogni modo abbiamo appreso che la Curia ha svolto numerose indagini nei confronti dell’ossario, senza tuttavia ritenere opportuno un intervento sulla faccenda.

Le nostre domande sono qui e le pubblichiamo, fiduciosi che i Monsignori interessati trovino il tempo per una risposta esauriente.

“La Curia era a conoscenza che nella sacrestia della parrocchia era stato praticato abusivamente un accesso nell’ossario?

Richieste respinte dal Comune

Perché mai sapendo che questo luogo era oggetto di tale e tanta speculazione, la Curia ha appoggiato presso il Comune, che le ha sempre respinte,le richieste del parroco, tendenti ad ottenere la giurisdizione del luogo “ senza interferenze dei laici”?

Perché le autorità ecclesiastiche no hanno mai fatto nulla per chiudere questo luogo, ove si offendono i principi morali e religiosi della Chiesa?”

Qual è il compito del Rettore dei Cimiteri, e perché non è mai intervenuto per porre fine al mercimonio?”

Per quanto riguarda più precisamente le responsabilità del parroco le ipotesi sono due: se egli è a conoscenza di quanto accade nell’ossario vuol dire che si presta al mercimonio e quindi è più colpevole degli altri; se lo ignora e agisce in buona fede vuol dire che non è all’altezza della situazione e che ha delle cognizioni di teologia limitate.

Sappiamo, d’altra parte, che a Napoli non in questo solo luogo accadono cose irriverenti nei confronti dei defunti.

Nella Chiesa dei Cappuccini

Infatti a San Pietro ad Aram, al Rettifilo, una delle più importati strade cittadine, nella chiesa dei monaci cappuccini, esiste un altro ossario, ove, escluso forse il trafugamento di teschi e di altri sconci speculativi, avviene quanto noi abbiamo detto per le Fontanelle.

Anche qui vi sono numerose nicchie con teschi, anche qui il popolo si postra innanzi ai resti umani attribuendo ad essi miracolose virtù.

Anche qui ci sono dei religiosi, questa volta dei monaci, i quali con la loro presenza, convalidano ed autorizzano le teorie superstiziose dell’umile popolo napoletano.

Abbiamo avvicinato nell’occasione il prof Carlo Ronga, allievo dell’illustre prof on Tesauro, il quale, in proposito ci ha detto:

“Ritengo che sia veramente cosa di eccezionale gravità, perché ciò che si verifica colpisce profondamente la dignità morale del nostro popolo, che ha tradizioni radicate ed antichissime. Dal punto di vista morale bisognerebbe che le autorità intervenissero tempestivamente ed energicamente per evitare che la piaga dilaghi ed assuma proporzioni più vaste.  Per autorità intendo quelle politiche giudiziarie e amministrative. Per quanto riflette la questione giuridico penale è necessario che intervengano le autorità di P.S. perché indubbiamente i reati che si commettono sono frequenti e gravi, tanto più che i fatti si verificano in una zona prevalentemente popolare per cui si rende urgente un intervento in quanto il popolo ha bisogno certamente di conquistare un più alto livello di vita e dimenticare la follia collettiva e turbinosa che ha sconvolto la coscienza di molti nell’immediato dopoguerra”.

Dal punto di vista teologico il censore, prof De Rosa, da noi intervistato, ha detto: “ Le reliquie dell’organismo corporeo vanno considerate con rispetto e con quella venerazione che si ha verso ciò che è rimasto di un corpo che è stato tempio dell’anima”.

La nostra indagine è terminata. Ci auguriamo che mettendo una pietra su quanto accaduto fino ad oggi si provveda all’immediata chiusura dei luoghi menzionati, i quali costituiscono  un affronto dal punto di vista giuridico, religioso e morale.

 

 

 La Croce 29/ 10/ 1950

Circa il cimitero delle Fontanelle

 

 

In questi giorni, che ci sono particolarmente cari perché rievocano la sacra memoria dei nostri defunti, vogliamo dire la nostra parola su quanto è stato stampato in alcuni quotidiani e particolarmente in una lettera a noi inviata circa il Cimitero delle Fontanelle.

Diciamo Cimitero e non ossario come hanno pubblicato i giornali perché secondo il Diritto Canonico un luogo destinato ad accogliere i resti mortali di cattolici si dice cimitero. E proprio questo si trova alle Fontanelle.

Poniamo intanto la questione nei suoi veri termini: la chiesa non solo permette il culto dei defunti, ma ci esorta a suffragarli con le parole ispirate dalla S. Scrittura: Sancta et salubris est cogitatio pro defunti exorare ut a peccatis solvantur. È  santo e salutare il pensiero di pregare per i defunti perché siano sciolti (dalle pene) dei peccati.

Ogni buon cattolico sa che la orazione per i defunti va diretta all’anima e non al corpo; pur tuttavia, come dice S. Agostino, non è da condannarsi la cura per il corpo che è nel sepolcro perché esso fu la casa dell’anima. E come noi conserviamo gelosamente qualsiasi oggetto che appartenne ad un nostro caro defunto, così anche il corpo del defunto può essere oggetto di un particolare culto. La Chiesa infatti lo asperge con l’acqua benedetta e lo incensa così come fa in tante religioni.

Ma non fa meraviglia che come in ogni culto, così anche in questo, anzi più frequentemente in questo, si abbiano delle deviazioni che spesso diventano vere profanazioni compiute o da gente ignorante o da superstiziosi, anche se forniti di una certa cultura; anzi alcuni che non credono in Dio credono ciecamente in tali deviazioni che vanno dalla richiesta dei numeri del lotto (non ancora si è pensato alla Sisal) fatta ai teschi, alle pretese divinazioni e financo alle polverine di ossa usate dalle fattucchiere per filtri, scongiuri, fatture et similia.

Evidentemente tutto questo è severamente condannato dalla Chiesa.

Ciò posto che cosa esiste alle Fontanelle? Un insieme di caverne scavate nella roccia dove si trovano migliaia e migliaia di resti umani. Con essi si sono formate delle nicchie, delle cappelle, mentre altre ossa giacciono alla rinfusa.

Non si creda che ciò sia un fatto particolare di Napoli; anche a Roma a S. Agnese fuori le mura v’è un cimitero annesso alla Chiesa dove si trova qualche cosa di simile.

Da moltissimi anni il popolino del rione ed anche quello della città si reca il lunedì in quel luogo per suffragare quei morti. Fin qui nulla di male. Fu costruita anche una chiesa, oggi parrocchia, a ridosso delle caverne, ma sulla strada, dal canonico Mariano Colella defunto da parecchi anni.

Prima di andare oltre osservo incidentalmente che nel “Giornale d’Italia” del 21 ottobre è detto che l’attuale parroco ostacola la costruzione della chiesa. L’articolista però non si è accorto di aver presa una grossa “papera” perché pochi righi prima ha scritto;”Molto tempo fa quando la chiesa non era stata ancora costruita”. Inoltre l’attuale parroco esercita  i suo ufficio proprio in quella chiesa costruita a suo tempo dal Colella. Non è il caso della favola di Esopo sul lupo e l’agnello?

In questi ultimi giorni sono stati denunziati all’autorità di P.S. fatti sconvenienti, commessi da fattucchiere che vendevano, a prezzi d’affezione, da 500 a 5.000 lire, le polverine tratte dalle ossa.

Evidentemente non saremo noi a difendere quelle megere, ma, per mettere le cose a posto ci chiediamo: quel luogo è per noi sacro, come è considerato dal Municipio? Evidentemente deve essere considerato come profano dato che il Municipio tiene le chiavi e le ha affidate a un guardiano, suo dipendente, escludendo il Parroco dalla vigilanza di quel luogo.

Come s’è detto innanzi, la Curia non può condividere le idee del Municipio anche perché in quel luogo si svolgono dal popolo pratiche religiose pubbliche anche se non ufficiali. Ed allora incombe all’Autorità Ecclesiastica e per essa al Parroco locale o ad un Cappellano che non si trascenda in pratiche proibite dalla Chiesa. Il Municipio sembra che sostenga che non v’è bisogno di Cappellano, dato che non si compiono in tale luogo operazioni di interro o di sterro. Il giornalista sopra citato va anche oltre perché dice di aver saputo dall’ufficio competente che: ”il comune non ammette né riconosce culto nell’ossario delle Fontanelle.” Vogliamo credere che il Sindaco non abbia detto tali parole, dato che non spetta a lui stabilire se un luogo sia o no degno di culto. Ad ogni modo facciamo notare che neppure nei cimiteri di guerra si compiono le operazioni di interro e di sterro, mentre alla custodia di essi vigila non solo il personale laico, ma anche un cappellano militare.

Se vi siano state manomissioni di ossa spetta all’Autorità inquirente stabilirlo e cercare i rei; tra questi evidentemente non può esservi chi è stato escluso dal controllo di quel luogo.

In ogni caso noi poniamo la questione nei seguenti termini. Se il Comune considera non sacro quel luogo lo chiuda con muratura e vi ponga innanzi una lastra di marmo. Il popolo se vuole, andrà a pregare innanzi a quel marmo così come prega nei nostri cimiteri. Il municipio però non può permettere che si svolgano in esso, quando è aperto, pratiche religiose anche non ufficiali senza il controllo dell’autorità Ecclesiastica e ciò per disposizione canonica.

Dire poi come è stato stampato nel Giornale d’Italia che il Parroco vuole le chiavi per far commercio, significa voler incolpare una persona per reati non ancora compiuti, ma che potrebbe eventualmente compiere in seguito.

Questo non è degno di un giornalista che si rispetti anche se si trinceri prudentemente sul giudizio “delle persone autorevoli con il quale (sic) ha avuto modo di parlare”.

La lettera inviata alla direzione de La Croce con firme dattilografate (dovrebbero essere per regolarità autografe) si occupa anche dei teschi esposti in alcuni ipogei di chiese. Ci risulta che la cosa è da tre mesi allo studio dell’Autorità Ecclesiastica. Non è stato possibile giungere alla soluzione finora per varie ragioni anche perché si tratta di enti non soggetti completamente alla giurisdizione dell’Ordinario del luogo. Comunque possiamo assicurare i lettori che disposizioni tassative saranno emanate tra breve.

La Direzione