L’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore alle Fontanelle

Ecco la risposta alla domanda posta da Filippo Noto nelle settimane scorse.

All’inizio della navata destra del cimitero delle Fontanelle, sopra cumuli di ossa, vi sono queste due lapidi poste l’una di fronte all’altra.

 QUI

NELL’APRILE 1934 E.F. XII

FURONO TRASFERITI AVANZI MORTALI

DALL’ABBATTUTA R. ARC. DI S. GIUSEPPE MAGGIORE

CHE VIEPPIÙ RISENTIRONO

POLVERE SEI ED IN POLVERE RITORNERAI

—————————

DALLE FONDAMENTA DEL MASCHIO ANGIOINO

RINVENUTI E QUI TRASFERITI AVANZI UMANI

PER AMPLIAMENTO VIA AMMIRAGLIO ACTON

APRILE 1934 XII

Ecco la storia di cui queste scritte ci parlano.

All’inizio degli anni 30, il Regime fascista s’impegno a fondo nel progetto di risanamento dell’area compresa tra piazza Carità, via Monteoliveto e via Diaz. I lavori dovevano completare il Risanamento, avviato a Napoli dopo l’epidemia di colera del 1884, collegando con un’ampia arteria il Rettifilo a via Roma e dotare la città di alcuni edifici pubblici monumentali tra i quali la Posta Centrale, il palazzo della Provincia e la Casa del Mutilato.

Nell’area vi erano alcune chiese. Una di queste, San Giuseppe Maggiore, era proprio sulla direttrice che doveva collegare via Guglielmo Sanfelice a via Roma, nell’area oggi antistante l’ingresso principale della Questura. Era una delle più belle e antiche chiese della città e dava il nome al rione che ancora oggi si chiama San Giuseppe. Ricca di marmi e dipinti, aveva un famoso presepe ligneo sull’altare maggiore scolpito da Giovanni da Nola. Era il punto di riferimento di una festa religiosa, quella di S. Giuseppe, tra le più importanti della città, con una processione che partiva dal Duomo, attraversava tutto il centro antico e arrivava a via Medina dove si svolgeva una vivace fiera, soprattutto di uccelli. Quel giorno si mangiava un tradizionale dolce fritto: “La zeppola di San Giuseppe”. Era, infine, sede della ricca e potente Arciconfraternita laicale dei falegnami (i mannesi) che, pur avendo una nuova sede nel cimitero di Poggioreale, conservava ancora nella terrasanta della chiesa i resti di coloro che vi erano stati seppelliti nel corso dei secoli.

L’abbattimento della chiesa non fu posto in discussione, ma andavano trovate soluzioni che consentissero di non distruggere il patrimonio di religiosità di cui la Chiesa era testimonianza. Nella ricerca delle soluzioni s’impegnò tutta la città, ma il contributo decisivo fu dato dal Sovrintendente all’Arte Medievale e Moderna della Campania, professor Gino Chierici, e dall’Arcivescovo di Napoli, Cardinale Alessio Ascalesi.

Le decisioni furono queste: il titolo, il culto e la festa di San Giuseppe restavano in via Medina trasferiti nella Chiesa dell’Ospedaletto; la struttura edilizia della chiesa sarebbe stata smontata e ricostruita identica, tranne la facciata, al nuovo Rione Luzzati che era privo di un’adeguata struttura religiosa e affidata ai padri Giuseppini del Murialdo; la sede dell’Arciconfraternita veniva trasferita a via Monteoliveto e le ossa della terrasanta sarebbero state trasportate al cimitero delle Fontanelle.

Così agli inizi del 1934 si procedette all’avvio dell’abbattimento della vecchia chiesa e alla posa della prima pietra per la nuova. La stampa dell’epoca dette ampio risalto alle cerimonie pubbliche che si svolsero in via Medina e al Rione Luzzatti a cui parteciparono il Cardinale, l’Alto Commissario al Comune e alla Provincia di Napoli e il Sovrintendente. Non ho trovato ancora riscontro nei giornali di cerimonie per il trasferimento delle ossa, ma c’è la lapide alle Fontanelle ed è improbabile che sia la Chiesa, sia il Fascismo abbiano posta una lapide senza cerimonia pubblica.

Descritti così gli avvenimenti, non si può che esprimere un apprezzamento per la soluzione trovata sia per il culto, sia per la struttura edilizia, ma resta l’interrogativo del perché le ossa della terrasanta non siano state trasportate al cimitero di Poggioreale, dove c’erano a disposizione sia l’ossario comunale, che quello dell’Arciconfraternita.

Bisogna prendere atto che la decisione presa è espressione degli orientamenti civili e religiosi che all’epoca il Comune, la Sovrintendenza e la Curia napoletana avevano in materia di sistemazione di ossa umane rinvenute durante le ristrutturazioni edilizie e urbanistiche. Infatti, nelle stesse settimane in cui si decideva di portare le ossa della terrasanta di San Giuseppe Maggiore alle Fontanelle, si decideva di portare lì anche le ossa rinvenute durante i lavori che nello stesso periodo si stavano facendo per di sistemazione di via Acton e del Maschio Angioino. Interessante è anche costatare che, nelle stesse settimane, una decisione simile fu presa durante i lavori di ristrutturazione di Sant’Eframo. Qui i resti umani della chiesa, tra i quali vi erano quelli di Antonio Genovesi, furono trasferiti a Sant’Eframo vecchio.

La posa, nello stesso mese, di due lapidi diverse per ritrovamenti avvenuti nello stesso periodo e in attuazione sostanzialmente di uno stesso disegno urbanistico merita qualche considerazione.

Una lapide ricorda i ricchi e potenti membri dell’Arciconfraternita di san Giuseppe Maggiore, l’altra i resti anonimi di via Acton. Solo sulla prima c’è la scritta “Polvere sei ed in polvere ritornerai”, monito a coloro che, pur ricchi e potenti sulla terra, devono sapere che saranno poveri nel Purgatorio.

C’è infine da rilevare che le ossa dei membri dell’Arciconfraternita sono esposte nella navata cosiddetta delle anime pezzentelle. Questa costatazione serve a ricordarci che il termine napoletano pezzentelle equivale all’italiano poverelle e, quindi, anime pezzentelle equivale ad anime poverelle: le povere anime del purgatorio, dove povere, secondo la teologia cattolica[1], non è riferito alla condizione economica e sociale che esse avevano sulla terra, ma a quella che hanno nel Purgatorio dove, prive di beni, hanno bisogno delle preghiere dei vivi.

Siamo ancora una volta di fronte ad una paradossale trasformazione attuata dalla cultura napoletana del significato di un’espressione che sembra rivolta a favore dei poveri e che invece porta i poveri a pregare spesso per i ricchi.


[1] “Le anime del Purgatorio sono povere, esse nulla più hanno di ciò che avevano, uscirono dal mondo come vi entrarono e, sprovviste di ogni cosa, sen vanno alla casa della loro eternità. Ma la loro è terra di oblio. È questo il lamento del Purgatorio: ci promisero i nostri cari che non ci avrebbero mai dimenticate, ma la memoria di noi si dileguò con il suono della campana. Ahi! Quante spese perché le nostre ossa restino chiuse in marmi pregiati; e per sollevare la nostra indigenza in questa terra arida e desolata, non un’elemosina, non un suffragio.”

Il Purgatorio, visitato dalla carità dei fedeli, rivista mensile dell’Associazione del Sacro Cuore di Gesù in suffragio delle anime benedette, arricchita d’indulgenze dal Sommo Pontefice Leone XIII e benedetta da S. Pio X, Roma. Anno XVII n.195 p.69.

Alcune annate della rivista romana sono conservate all’Emeroteca Tucci di Napoli.

Giusy Cigni recensisce “Il Cimitero delle Fontanelle “

Spesso si parla del senso di morte che Napoli emana attraverso la sua storia millenaria, le strade, le chiese, le epigrafi, le leggende e i vicoli bui. Tuttavia, in questa riflessione, molte volte ci si sofferma solo alla superficie. Raccontare e descrivere, invece, il rapporto di questa città con la Morte, attraverso la varietà delle sue forme e  delle trasformazioni socio-culturali, è compito assai più complicato e possibile solo a chi è radicato nella realtà napoletana e ne conosce la verità e le sue distorsioni.Questo complesso obiettivo è ben spiegato ne “Il cimitero delle Fontanelle – Una storia Napoletana”, libro edito da “Libreria Dante & Descartes” e scritto da Rocco Civitelli, insegnante impegnato da oltre trent’anni nel quartiere dello storico ossario.L’autore, grazie ad una precisa ed approfondita disamina storica, traccia la storia e l’evoluzione di uno dei monumenti più rappresentativi di Napoli: il Cimitero delle Fontanelle.

Alla descrizione delle motivazioni sociali che portarono alla costruzione del Cimitero, l’origine e la disposizione delle ossa, segue un’analisi puntuale di quell’affezione popolare che maturò nei confronti del Cimitero, trovando la sua massima espressione nella devozione delle Anime del Purgatorio, tradizione pregna di quell’antichissima religiosità che rappresenta non solo una parte della popolazione, ma l’intera realtà napoletana: cioè di Chiesa e popolo (tutto). Il processo storico incide profondamente sulle devozioni, a volte svuotandole del loro contenuto religioso e di fede. Alle Fontanelle questa deriva portò al prevalere di una realtà magica e superstiziosa contro cui la Chiesa e i credenti si schierarono. Una deriva, quest’ultima, che ha portato questa tradizione a subire, soprattutto nella seconda metà del ‘900, notevoli cambiamenti e correzioni da parte della Chiesa, in linea con i mutamenti socio-culturali che a quell’epoca rivoluzionavano anche il volto della Chiesa stessa. Si arriva così alla trasformazione finale del Cimitero da luogo di devozione a bene culturale , grazie all’intuizione e al protagonismo di un gruppo di giovani della Parrocchia che, consapevoli dell’importanza che il Cimitero rappresentava come patrimonio artistico di Napoli, diedero vita all’associazione “I Care” e organizzarono le prime visite guidate.

E oggi i membri dell’Associazione si rimboccano le maniche per fronteggiare una nuova deriva culturale di cui il servizio di moda tra le ossa è un emblema.

Lo stile della scrittura è scorrevole, preciso, esaustivo; la narrazione è sostenuta dalla citazione di fonti autorevoli quali Matilde Serao, Francesco Mastriani, Andrea De Jorio, Luciano Sola e Antonio Emanuele Piedimonte e di documenti cartacei conservati nell’Archivio Storico Diocesano di Napoli.
Quest’attenzione alle fonti, alla ricostruzione storica e alle testimonianze raccolte da chi ha vissuto e vive ancora nel quartiere rende evidente, quindi, il grande merito dell’autore: aver reso omaggio al popolo napoletano, al popolo delle Fontanelle descritto come l’anima, la linfa vitale che ha sostenuto il Cimitero, rendendolo un monumento della religiosità popolare, un pezzo fondamentale della cultura…”una storia napoletana”

Il Roma 27 dicembre 2012