Il 2 novembre alle Fontanelle

Quest’anno la celebrazione della giornata dei defunti al cimitero delle Fontanelle è stata ricca di novità positive.

L’assessore alla cultura, dott. Nino Daniele, ha visitato sia il cimitero che la mostra sulla storia dell’ossario e in serata il vicario episcopale, Monsignor Gennaro Acampa, ha guidato la liturgia in chiesa e la processione religiosa nel cimitero.

Questo 2 novembre 2014 ha visto, dunque, assieme a tanti fedeli anche la presenza congiunta sia delle istituzioni civili che di quelle religiose e ciò non avveniva dagli anni ‘30 del Novecento. Un altro passo in avanti per riportare la gestione del cimitero nella sua vera dimensione di cimitero storico, cioè nello stesso tempo luogo sacro e culturale, per superare il degrado folcloristico in cui è relegato.

Il cimitero delle Fontanelle “Oltre il folclore e il popolare, una ricerca in corso…”

Comunicato Stampa

In occasione delle celebrazioni del 2 novembre è stata organizzata una mostra di documenti e libri sulla storia del cimitero delle Fontanelle.

 Il titolo della mostra, “Oltre il folclore e il popolare, una ricerca in corso”, indica il percorso nuovo che la ricerca ha intrapreso, di una storia che non è testimonianza del paganesimo e della superstizione della plebe napoletana, ma di alcuni duri momenti della tormentata vicenda storica della città nell’ultimo secolo e mezzo.

La mostra traccia e documenta un percorso che va dalla costruzione dell’ossario fimo ai giorni nostri, caratterizzati dalla scomparsa o dalla distruzioni di parti importanti del bene culturale e dalla difficoltà del Comune di gestire questo bene che è, innanzitutto, un luogo sacro

La mostra espone pezzi di assoluta novità, come la commemorazione del Cardinale Guglielmo Sanfelice avvenuta nel Cimitero delle Fontanelle nel 1897,  “una visita agli ossari” di Cesira Siciliani del 1881, oltre a racconti poco conosciuti di Giuseppe Marotta e Domenico Rea.

La mostra, realizzata tutta con lavoro volontario, sarà esposta nella chiesa di Maria SS del Carmine alle Fontanelle, dal 30 ottobre al 2 novembre, orari 10-12 e 17-19.

Le celebrazioni del 2 novembre saranno concluse dalla celebrazione eucaristica in chiesa e dalla processione religiosa nel cimitero presiedute da Monsignor Gennaro Acampa, Vescovo ausiliare di Napoli

Napoli 29 10 2014

 

I care Fontanelle

Centro di Ricerca e Documentazione del cimitero delle Fontanelle

Il destino purgatoriale di Napoli in alcuni articoli del Sole24Ore della domenica

Estate 2014. Il destino purgatoriale di Napoli in alcuni articoli del Sole24Ore della domenica
L’articolo di Roberto Napoletano su Maurizio Marinella “Partire da Napoli per restare a Napoli” offre una bella rappresentazione della città che lavora e produce, lontana dagli stereotipi. “Napoli, la città italiana più martoriata dagli stereotipi” scrive infatti Luigi Paini nel suo “Inceneriti sotto il Vesuvio” della Domenica del Sole del 6 luglio scorso.
Eppure, sia nell’articolo di Napoletano che in quello di Renato Palazzi, “Il ciclopico pezzentello”, che affianca lo scritto di Luigi Paini, appaiono poi inesorabili gli stereotipi.
Palizzi recensisce uno spettacolo teatrale di Mimmo Borrelli andato in scena nella chiesa delle anime del Purgatorio a Napoli. Non entro nel merito sia dell’opera, che dell’intera stagione teatrale organizzata dall’Opera Pia nel complesso di Purgatorio ad Arco. Ritengo molto positivo che anche a Napoli ci si muova nella direzione di una gestione innovativa dei beni culturali che sia capace di vivere, soprattutto se privati, anche autonomamente, senza attingere solo al denaro pubblico. Appare invece singolare che l’autore, nel descrivere il luogo in cui la rappresentazione è stata effettuata, la chiesa del Purgatorio ad Arco, parli di “culto pagano dei defunti” oggetto di “un’incessante devozione popolare”. Sul culto delle anime del Purgatorio a Napoli vi è una letteratura sterminata e le opinioni sulla sua natura pagana o cattolica, anche nella chiesa, si confrontano, ma dire che c’è un’incessante devozione non corrisponde alla realtà ed è una classica “invenzione della tradizione”. Il culto, infatti, finì nel clima di attuazione del Concilio Vaticano II, che portò al superamento del devozionismo tridentino. Ma l’invenzione serve all’autore per concludere che il luogo “…è una metafora di Napoli stessa, che è Purgatorio dei viventi, perennemente in bilico tra euforia e rassegnazione”. Lo stereotipo vuole che la devozione a Napoli sia magica e pagana, comunque superstiziosa e, soprattutto, espressione dell’incontro dei napoletani con un destino ineluttabile. È quello che Giuseppe Galasso ha individuato come uno dei problemi della napoletanità: una rappresentazione della religiosità più arretrata di quella che realmente è. Perché poi di quest’arretratezza si facciano portatori innanzitutto gli intellettuali napoletani, e in particolare i giornalisti, è ancora da studiare.
Ma anche anche l’articolo di Napoletano subisce il fascino implacabile di questo stereotipo, quando parla di Napoli “una città senza pace e senza lavoro”. Un’affermazione dal sapore biblico, di un destino contro cui è velleitario lottare. Sembra che anche Napoletano evochi il destino purgatoriale di Napoli. Quel ciclo dei “vinti” trasferito dalle falde dell’Etna all’ombra del Vesuvio, che attanaglia la cultura meridionale e abbaglia la politica portandola sulla strada della perenne emergenza e dell’immobilismo. Un’affermazione che contraddice il significato dell’articolo “Partire da Napoli per tornare a Napoli”, che è proprio l’aver indicato una grande tradizione di lavoro artigianale che esiste da secoli ed è capace di innovare e di competere nel mondo globalizzato. Una tradizione basata sulla qualità come marchio di un lavoro che si afferma nella moda come nell’alimentare, nella musica, ma anche nell’armamento, nel turismo e nella cultura. Mesi addietro passeggiavo con un avvocato milanese per il Vomero. Eravamo fermi all’incrocio tra via Alessandro Scarlatti e via Luca Giordano, un luogo brulicante di vita, ma senza i tratti della napoletanità, quando l’avvocato a bruciapelo mi ha chiesto: “ma questa gente da dove trae il suo reddito?”. La realtà di una Napoli che lavora e che produce è una realtà negata. Per oltre cinque secoli Napoli ha avuto una crescita demografica eccezionale e questa crescita non ha mai avuto una spiegazione. Nel seicento e nel settecento gli illuministi hanno sostenuto che la gente veniva a Napoli per sfuggire alle angherie feudali; ma ciò non spiega la crescita dell’Ottocento e del Novecento e, inoltre, da decenni la storiografia sulla feudalità meridionale ha abbandonato il cliché delle angherie di un baronaggio assenteista e prepotente. La verità è che la gente affluiva a Napoli perché a Napoli c’era lavoro.
È nell’esperienza concreta della mia generazione che, tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Napoli aveva sostanzialmente raggiunto la piena occupazione. Alla crisi e ai cambiamenti che iniziarono negli anni Settanta, e che nel corso dei decenni successivi hanno ridefinito rapporti e gerarchie tra i territori, Napoli ha risposto con l’immobilismo, la richiesta dell’assistenza innanzitutto, ma non solo, per i disoccupati organizzati, la difesa ad oltranza dell’indifendibile. Ancora una volta non ha saputo innovare la sua identità partendo dal suo grande patrimonio lavorativo.
E oggi la situazione a Napoli è certamente difficile, molto difficile. Come uscirne? L’articolo di Napoletano indica la strada: il lavoro, la sua qualità. Per sapere come percorrerla non c’è bisogno di andare a Torino, che nel corso di centocinquanta anni ha cambiato tre volte la sua identità, basta andare a Salerno.
Non un destino purgatoriale quindi per Napoli, ma scelte sbagliate della sua classe dirigente da evidenziare ai giovani, affinché essi possano cimentarsi con successo con i grandi cambiamenti a cui quest’epoca li chiama.

Giuseppe Marotta alle Fontanelle

La lettura del racconto Fontanelle in “Gli alunni del tempo” è stata una piacevole sorpresa. Giuseppe Marotta, l’autore de “L’Oro di Napoli”, era di Materdei, conosceva quel luogo e i suoi abitanti. A prima lettura ho sentito però che in quel racconto c’era qualcosa che non andava. Ho letto e riletto e, alla fine, di mattina, quando riesco a concentrarmi meglio, ho capito cos’era.

Marotta riporta il testo dell’epigrafe che fino a qualche decennio fa era apposta sulla facciata della chiesa delle Fontanelle: “ Napoletani – Quest’ossario che contiene – Dei nostri antenati le meschine spoglie – E questo tempio – sorto per pietà di sacerdoti e di popolo – E’ ricordo funesto della lue asiatica – del 1836 – È monito di cristiana pietà ai posteri”.

Ho preso il volume “Le strade di Napoli” di Gino Doria e ho riletto lì l’epigrafe: “Napoletani – Quest’ossario che contiene – Dei nostri antenati le meschine spoglie – E questo tempio – sorto per pietà di sacerdoti e di popolo – can. G.no Barbati fondatore – comm. P.le Pasquale Placido Sen. D. R. Largitore – E’ ricordo funesto della lue asiatica – del 1836 – È monito di cristiana pietà ai posteri”.

Incredibile! Marotta aveva tolto le due righe che contenevano i nomi di chi aveva realizzato l’ossario, Gaetano Barbati e Pasquale Placido, le loro qualifiche: l’uno canonico della cattedrale e l’altro senatore del Regno e i ruoli avuti, il canonico ideatore dell’ossario e il senatore finanziatore dell’opera. I protagonisti reali erano scomparsi per lasciare il posto a donna Giulia Bove “la mamma degli scheletri”, che “ non ebbe mai un’età e una faccia plausibili”.

Il racconto è di oltre cinquant’anni fa e testimonia il modo d’interpretare le tradizioni, tipica di un’intellettualità partenopea avvezza a forzare in maniera spudorata la realtà storica verso l’oleografico, il magico e il superstizioso. Non è solo un cedimento alla moda attuale, è un modo di operare antico, ormai cronico. La storia è rimossa e al suo posto ci sono il fantastico e il mistero. Tutto si annebbia. Scelte, meriti, errori, responsabilità dell’agire umano scompaiono. Alla fine di questo percorso c’è sempre il fato, per i ceti alti, il destino, per gli altri ceti.

Chi era chi ha fatto l’ossario e perché l’ha fatto appare una domanda impertinente, provocatoria.

Anche di questo si è parlato l’altra sera al caffè letterario di Dante&Descartes a piazza de Gesù, dove Marco Schaufelberger ha presentato una straordinaria raccolta di figurine e manufatti devozionali verso le anime del Purgatorio.

Serata interessante, compromessa, però, da un buco ingiustificabile: il venir meno della promessa, sancita nella locandina, di un’offerta di uova al Purgatorio.

Organizzata da “I care Fontanelle”, la discussione continua Giovedì 29 alle 18, sempre da Dante&Descartes a piazza del Gesù, sul tema: i tempi e i luoghi del cimitero delle Fontanelle.

Senza uova al Purgatorio, forse con un bicchiere di Lacryma Cristi.

La striscia di Giovanni Lucarelli

La visita guidata di sabato 10 è andata bene. Abbiamo fatto due gruppi: uno l’ho guidato io, l’altro Mariano Cigni. Durante il percorso mi sono naturalmente soffermato davanti al teschio del capitano, dove ho ripreso l’episodio che Roberto de Simone racconta nel suo volumetto Novelle K666, fra Mozart e Napoli:

“-Ma è la storia di don Giovanni – mi scappò detto.-E chi è sto don Giovanni? Quello è il Capitano, quanto è certo Dio, domandate in giro.Ma io quasi non udivo altro che la fatidica frase del Commendatore ”Datemi la mano in pegno!” sostenuta dagli archi e da uno sforzato di tutti.”

Un visitatore ha poi chiesto dell’ipotesi che anche Giacomo leopardi, morto durante l’epidemia di colera del 1837 sia sepolto alle Fontanelle.

Ne ho parlato con Gianni Lucarelli che mi ha mandato subito la sua striscia. 

1950 – 1970. Il culto delle Anime del Purgatorio al cimitero delle Fontanelle in alcuni articoli della stampa napoletana – Terza e ultima Parte

Lo scontro giornalistico non produsse alcun risultato e la questione del cimitero delle fontanelle scomparve dalla stampa. Riapparve alla fine degli anni Sessanta quando, il 9 ottobre 1969, il n.38 di “Nuova Stagione” pubblicò un articolo, ripreso da tutta la stampa cittadina: “La Curia contro il culto superstizioso dei morti”.

Vediamo come si arrivò a quest’articolo.

Gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento furono anni di grandi cambiamenti. Ci furono la trasformazione dell’Italia da paese agricolo a paese industriale, il ’68 e l’autunno caldo. Ci fu soprattutto, per il tema che qui trattiamo, il Concilio Vaticano II.

Il contributo ufficiale napoletano alla preparazione e allo svolgimento del Concilio non fu brillante.[1] Nel 1966 a Napoli arriverà, però, il Cardinale Corrado Ursi, che darà grande impulso alla realizzazione delle decisioni conciliari. Sin dalla lettera di saluto per l’ingresso nella Diocesi egli dice: “Noi muoveremo dal Concilio. Da esso trarremo ispirazione, contenuti, orientamenti”.

I mesi e gli anni successivi furono ricchi di avvenimenti postconciliari: andarono in vigore la messa con la nuova liturgia e il nuovo anno liturgico, l’unificazione dei centri universitari con la costituzione della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e, per la stampa, nuove riviste.

Più in generale, si avviò un rinnovamento che segnò anche per Napoli la fine della religiosità nata con il Concilio di Trento.

In questo contesto, il culto delle anime del Purgatorio si esaurì. Gli ipogei delle chiese furono svuotati.

Come questo concretamente avvenne non è di facile ricostruzione. In linea di massima i resti umani presenti negli ipogei delle parrocchie furono portati alle Fontanelle e quelli delle arciconfraternite nelle sedi che queste avevano a Poggioreale. Due episodi testimoniano l’attendibilità di questa ipotesi. Il primo è quello che portò i resti umani, con due bare dei Carafa di Maddaloni, dall’ipogeo della parrocchia di Santa Maria dei Sette Dolori, al cimitero delle Fontanelle.[2] Il secondo è quello che portò i resti umani dall’ipogeo dell’Arciconfraternita dei santi Pellegrino ed Emiliano dei Farmacisti, all’Arciconfraternita dei professori di musica a Poggioreale. Questi percorsi sono documentati sia dallo stato dei luoghi, sia da lapidi. Fu un percorso molto differenziato, guidato dalla Curia, ma di cui furono protagoniste le parrocchie e le arciconfraternite. Il clima religioso in cui questi trasferimenti furono realizzati è, allo stato, di difficile ricostruzione, poiché ci sono solo testimonianze orali, spesso molto interessanti, ma a volte anche contraddittorie e senza riscontri oggettivi.

In tre luoghi l’antico culto continuò: nelle Chiese dell’Opera Pia Purgatorio ad Arco, del Convento di San Pietro ad Aram e nel cimitero delle Fontanelle. Per queste strutture arrivò la dichiarazione del Tribunale Ecclesiastico per la causa dei Santi e il Decreto del Cardinale Corrado Ursi del 29 luglio 1969 a cui esse saranno costrette ad uniformarsi.

I motivi che portarono queste tre realtà, canonicamente autonome dalla Curia Arcivescovile, a non seguire il cammino conciliare sono ancora da ricostruire e furono specifici per ogni realtà. La tradizione attribuisce le resistenze di queste strutture agli introiti che derivavano dal culto; ritengo più corrispondente alla realtà e, comunque, più significativo che esse siano state invece espressione del conservatorismo e dell’atteggiamento anti conciliare di tanti ambienti religiosi della città.

Questo percorso non investì alcuni piccoli ipogei delle tante arciconfraternite di cui sono costellate le strade del centro antico. Lì vi sono ancora presenze di resti umani; in alcuni casi si tratta di luoghi in cui è cessata qualsiasi forma di culto, in altri vi sono solo le cerimonie del 2 novembre.

L’articolo sul culto superstizioso dei morti era stato pubblicato da “Nuova Stagione”, la rivista diocesana che aveva sostituito “ La Croce” nel 1968 per rispondere al “clima di rinnovamento che investe la Chiesa e il mondo. Nuova testata, nuovo formato, nuova vitalità”.

Nel nuovo giornale diocesano il tema delle devozioni è molto discusso. Questo qui riportato sul culto dei morti non è un articolo solitario. Alcuni mesi dopo la sua pubblicazione, nella lettera Pastorale, il Cardinale dedica al tema delle devozioni un puntuale e significativo passaggio. Più in generale la rivista, nelle annate che ho consultato all’Archivio Diocesano, interviene con decisione sul tema.

Il tono generale è di cogliere ogni occasione per richiamare all’attuazione del Concilio. Così, in occasione delle benedizioni pasquali nelle case, si richiama l’attenzione su alcune forme devozionali contaminate da elementi magici e superstiziosi “Padre un po’ d’acqua in più perché c’è la mala gente…”.  Numerosi gli articoli sul culto della Madonna dell’Arco e sulle Unioni Cattoliche Operaie per superare “anacronismi e sfasature”, per evitare la questua nelle strade. Anche se sulla stessa rivista, a volte sullo stesso numero, si esprimono orientamenti contrapposti. Alcune posizioni appaiono oggi singolari: il velo che le donne devono portare è simbolo di subordinazione gerarchica e non d’inferiorità.

Molto rappresentativa mi è parsa questa risposta di Padre Gallo a una signora che lamentava la fine dei quindici sabati in onore della Madonna di Pompei.  Il sacerdote, dopo averla invitata a proseguire nella sua devozione, aggiunge: “Però… via, non dimentichiamoci certe esagerazioni. La celebrazione della santa messa diventava una parentesi evanescente in certe chiese: il popolo e i fedeli presenti continuavano a recitare il rosario corale, facendo appena qualche minuto di silenzio all’elevazione, e il celebrante del tutto isolato, quasi come se svolgesse lui un’azione privata.

Era quella una specie d’invasione, una sovrastruttura sul Sacrificio Eucaristico ed era, oltretutto un abuso. Il Concilio, riportando al suo giusto posto la liturgia, non ha voluto distruggere le buone pratiche di pietà: ha voluto solo ridimensionarle, riportare cioè anche quelle al loro giusto posto.

….Non è senza importanza e significato il fatto che il Concilio Vaticano II abbia emanato come primo e fondamentale documento la costituzione Sacrosanctum Concilium”[4].

Il Cardinale Ursi,  nella lettera pastorale del 5 marzo 1970, è molto netto e fermo: “i Pii esercizi che la Chiesa  non solo non condanna, ma raccomanda vivamente,  purché siano conformi alle leggi e siano ordinati in modo da essere in armonia con la Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium, n.13.)”

Non meno interessante è il richiamo del Cardinale  “all’autenticità della nostra missione pastorale eliminando il sospetto dello sfruttamento dei fedeli, mediante certe forme devozionali”.

La revisione delle devozioni è, dunque, un frutto diretto del Concilio.

La Sacrosanctum Concilium, infatti, insieme alla Lumen gentium e alla Dei Verbum, può essere considerata il cuore del rinnovamento conciliare: la fede del popolo di Dio ha al centro Cristo e la parola di Dio.

Negli stessi anni, nel clima di rinnovamento conciliare, c’è il riposizionamento di San Gennaro nel calendario liturgico. Il patrono di Napoli non è più un santo della Chiesa universale, ma un  santo locale. Il tradizionalismo napoletano, spesso ironico e plebeo, non sa andare oltre il: ” San Gennà, futtatenne”.

Conclusivo di questa rapida rassegna della rivista, dal punto di vista della storia del cimitero delle Fontanelle, può essere considerato questo passaggio di una risposta ad un lettore del Direttore di “Nuova Stagione”: “Ammettiamolo pure che in passato (e anche recentemente) siano avvenuti abusi e non lievi in campo religioso, per esempio circa il culto delle reliquie…”[5]

La stampa napoletana riporta la notizia del decreto del Cardinale Ursi sul culto superstizioso dei morti senza un vero commento, sostanzialmente viene pubblicata una nota di agenzia. È il risultato dello scarto enorme tra le pagine nazionali dedicate all’attuazione del Concilio e quelle locali. Le prime sono puntuali e approfondite, le seconde burocratiche, quasi inesistenti. Interessante è, comunque, come il “Il Mattino” riporta la notizia; parla di un culto ormai praticato solo da alcune vecchiette del rione Sanità. Ma, soprattutto, fa un collegamento tra il culto delle reliquie anonime nelle chiese e quello verso “Maria la sposa” a Torre Annunziata, uno dei tanti episodi delle cosiddette pratiche religiose pubbliche non ufficiali, che sporadicamente attraversano l’area metropolitana di Napoli. Emblematico è che, sotto il mantello del fanatismo, vengono accomunate manifestazioni religiose diverse quali sono quelle che si svolgono nelle chiese, sotto la diretta responsabilità del clero, e quelle che si svolgono in luoghi pubblici come i cimiteri, che quasi sempre nell’area napoletana sono acefale.

Si può concludere queste breve rassegna riportando il giudizio di “Il Tetto”, che in quegli anni conduce una dura polemica sull’attuazione del Concilio a Napoli. In un lungo articolo sulle pastorali del Cardinale Ursi scrive: “La religiosità popolare a Napoli si perpetua nello stesso modo di prima, con qualche piccolo ritocco ai santi venerabili, ma immutata nella sostanza e nelle pratiche che molta gente giudica sbrigativamente come pagane” [6]. È un giudizio duro, ingiusto se riferito alla questione specifica del culto verso resti umani anonimi, ma vero per le correnti profonde del devozionismo napoletano, penetrante sul presunto paganesimo di alcune pratiche. A Napoli non ci sono state, come in altre realtà, contrapposizioni frontali all’attuazione dei provvedimenti conciliari, secondo una tradizione conservatrice che tende ad evitare lo scontro frontale e a svuotare lentamente il rinnovamento. Il decreto sul culto dei morti suscita ancora oggi stupore perché esprime un metodo, prima ancora che un contenuto, che è di rottura per la società laica e religiosa napoletana dominata dal conservatorismo e orientata sempre verso il passato e mai verso il futuro, verso la nostalgia e non verso la speranza.

Il Tetto pubblicherà negli anni successivi diversi articoli sul tema, partecipando a quel dibattito degli anni 70/80 che la stessa rivista definisce l’orgia del popolare. In un articolo su San Gennaro sono poste due questioni che ritengo fondanti nello studio della religiosità napoletana. La prima è “una distinzione tra forme di religiosità urbana e rurale” e la seconda, posta per il culto di San Gennaro, ma che ritengo possa essere in gran parte generalizzata: “è indimostrato che il culto sia nato come espressione della religiosità delle classi subalterne ”[7].

Dal Concilio Vaticano II è passato mezzo secolo. Nel dopo Concilio spesso le devozioni, il culto dei miracoli, la materializzazione della fede sono state viste come un sintomo di arretratezza per non dire di sottosviluppo[8]. Questa è una visione molto parziale del problema, la grande scelta del Concilio e della riforma liturgica che ne è seguita fu quella di rimettere al centro della fede Cristo. Tutto il resto andava ridimensionato.

Con il Pontificato di Giovanni Paolo II, il clima verso le devozioni è cambiato, c’è stata una valanga di beatificazioni e canonizzazioni, non si è tornati indietro, ma si è presa un’altra direzione. Bisognerà vedere i risultati sui tempi lunghi. La novità più dirompente e con effetti immediati è stata un’altra. Parlando con il maestro Roberto De Simone del suo scritto sui riti al cimitero delle Fontanelle egli, a un certo punto, ha esclamato: “abbiamo sostituito le anime del Purgatorio con padre Pio, un culto mediatico”. La tenuta di vecchie devozioni e il rapporto tra devozioni e nuovi strumenti di comunicazione erano impensabili alcuni decenni fa.[9]

La scomparsa del culto delle anime del Purgatorio e la sua sostituzione con devozioni più recenti si può cogliere passeggiando nelle strade del centro storico di Napoli e osservando le trasformazioni delle edicole votive che stanno vivendo da alcuni anni una nuova fioritura.

Uno degli schemi dell’edicola napoletana prevede al centro un’immagine di Gesù, della Madonna, o di un santo e sotto una nicchia scavata nella pietra, dipinta di rosso, con dentro un crocefisso contorniato da statuette di corpi imploranti che fuoriescono dalle fiamme: le anime del Purgatorio. Queste statuette sono state negli ultimi tempi sostituite con immagini di padre Pio, della Madonna di Medjugorje, o con immagini di defunti.

Per concludere, ritengo che la lettura degli articoli di quotidiani e riviste qui pubblicati possa essere un utile contributo al dibattito tra chi ancor oggi vede nel decreto del Cardinale un mero strumento repressivo di una manifestazione di religiosità popolare e chi, invece, lo vede espressione del rinnovamento avviato dal Concilio Vaticano II. Senza dimenticare che molto diffuse, tra il clero e il popolo, sono, ancora oggi, orientamenti che intrecciano le resistenze del tradizionalismo cattolico e le teorie del folclore progressivo.

Stenta a diffondersi, nella nostra città, quel superamento critico della nozione di cultura popolare in corso da alcuni decenni negli studi di antropologia culturale.[10]  Quella nozione in cui il popolare, per il suo essere autonomo e contrapposto alla cultura dominante e istituzionale, poteva esprimere quella consapevolezza di classe che avrebbe portato le classi subalterne a “irrompere nella storia”  (Ernesto De Martino): il cosiddetto folclore progressivo.

Su questi temi, inoltre, pesa molto l’incapacità della cultura italiana e della chiesa di conservare in maniera adeguata le testimonianze di antiche devozioni oggi scomparse, o tenute in vita solo per fini turistici, o meramente associativi. È stata solo un episodio isolato la decisione del Vaticano di consentire le celebrazioni latine in Inghilterra dopo l’appello alla Santa Sede di un autorevole gruppo di intellettuali britannici non cattolici, affinché’, dopo la riforma liturgica, il rito latino venisse considerato “patrimonio della cultura universale”, indipendentemente da qualsiasi considerazione di tipo confessionale.  Decisione che è stata chiamata ”indulto di Agatha Christie”, dal nome della scrittrice che è stata una delle firmatarie dell’appello.

La possibilità di avere a Napoli un moderno museo-archivio delle tradizioni è remota. Lo stesso Museo Diocesano, dov’è evidente lo sforzo innovativo di storicizzare, appare una testimonianza della religiosità prevalentemente dal lato artistico.

È infine auspicabile che inizino le ricerche negli archivi civili e religiosi e diano adeguato supporto alla ricostruzione storica di un periodo così significativo per la religiosità napoletana.

Nel vuoto fioriscono le ricostruzioni più fantasiose, prevalentemente orientate, secondo la moda, in senso paganeggiante e magico. In alcuni casi, siamo ben oltre l’invenzione della tradizione di cui parlano gli antropologi: siamo al falso. La collocazione e la disposizione delle bare di Filippo Carafa e Margherita Petrucci al cimitero delle Fontanelle ne sono una plateale dimostrazione[11].

A conclusione di questa nota, mi sembra opportuno porre la lettera consegnata all’Arcivescovo di Napoli, Cardinale Sepe, dal Parroco delle Fontanelle nell’autunno del 2012 e il documento delle rete della Sanità, animata da padre Alex Zanotelli, consegnata al Sindaco di Napoli Luigi De Magistris.  Sono la testimonianza di come, a sessant’anni dagli articoli del “Giornale d’Italia”, il governo del cimitero dal punto di vista culturale, civile e religioso è ancora in alto mare. A dimostrazione che a Napoli alcuni temi sono decisamente ingovernabili, almeno fino ad oggi.

Nonostante tutto questo, il cimitero delle Fontanelle è ancora oggi un luogo che ci offre una moderna e spettacolare rappresentazione della morte, lontana dal macabro, che, nel silenzio profondo e negli spazi solenni, sembra suggerire un’antica spiritualità. Credo che sia quello che poi colpisce gli artisti che visitano le Fontanelle e la rappresentazione che ne danno. Un unicum della complessa e tormentata storia della religiosità napoletana, che vale la pena di visitare e di conoscere.

Post Scriptum

Questo lavoro è stato portato a termine alcuni mesi fa. Il finale dello scritto dovrebbe essere cambiato perché il 9 aprile del 2014, Padre Evaristo Gervasoni, Parroco delle Fontanelle, è stato nominato cappellano del cimitero delle Fontanelle. È un importante passo in avanti, ma ho preferito non cambiare le conclusioni.

La Curia contro il culto superstizioso dei morti

Nuova Stagione  9 /10/ 1969 n.38

La Rivista Diocesana di Napoli “Ianuarius” ha pubblicato un Decreto del Cardinale Corrado Ursi che disciplina la pietà verso i defunti ed i loro resti mortali. Il decreto viene preceduto da una dichiarazione del Tribunale Diocesano per la Causa dei Santi che denuncia “manifestazioni di culto aberranti” in alcune Chiese dell’ Arcidiocesi, verso resti mortali di persone, a volte sconosciute.

La Dichiarazione non vuole offendere la venerazione verso i morti, tanto meno vuole distruggere la pietà verso le anime dei penanti, ma vuole stigmatizzare gli abusi, che offendono la fede e lo stesso popolo di Dio.

Difatti la Dichiarazione dice testualmente:

“Premesso che la Santa chiesa ha sempre inculcato nei fedeli il dovere di innalzare a Dio preghiere e di offrire suffragi per i defunti “affinché vengano assolti dalle loro colpe” (2 Macc. 12, 46); venera i loro resti mortali con candele, incenso, fiori, in occasione della sepoltura, perché il corpo, oltre che l’anima del cristiano, fu rigenerato alla vita Divina nel Santo Battesimo e divenne membro del Corpo di Cristo e fu continuamente santificato dai Sacramenti”.

E dopo aver accennato alla premura che ha la chiesa per la venerazione delle Reliquie mortali dei fedeli elevati agli onori degli altari, continua dicendo:

“Essa con la stessa sollecitudine proibisce di prestare il culto a resti mortali di persone ignote e combatte le manifestazioni aberranti che urtano contro la purezza della fede e producono discredito nei riguardi della loro pietà cattolica”.

Premessa la parte dottrinale, tanto chiara e precisa, la “Dichiarazione” passa all’investigazione su fatti, avvenuti nella nostra Archidiocesi, per poi venire ad una conclusione logica, tanto limpida, su cui tutti dobbiamo convenire:

“Prese in attento esame – così dice il testo – le manifestazioni di culto che in alcune chiese della nostra Archidiocesi si rivolgono dai Fedeli a resti di ossa umane variamente sistemate.

Considerato che quei resti mortali non sono identificabili a persone storicamente conosciute di cui si possa provare la santità di vita nell’esercizio in grado eroico delle virtù soprannaturali.

Dichiara che le manifestazioni di culto rivolte ai resti umani, variamente inumati, in alcune Chiese della nostra Archidiocesi, sono arbitrarie e superstiziose”.

Il documento sia pur firmato dai Monsignori Cinque e De Angelis aveva bisogno del sugello del Vescovo ed il nostro Cardinale ha fatto seguire un suo Decreto, che riportiamo integralmente:

“I resti umani che fossero visibili, sia pure dietro vetro, siano rimossi e debitamente inumati.

I Sacerdoti e tutte le persone responsabili si astengano da ogni atto che possa favorire manifestazioni indebite di culto.

I fedeli si astengano da atti contrastanti la vera devozione e, pertanto, sgraditi a Dio ed apportatori di discredito alla Religione e alle tradizioni culturali e civili del nostro popolo.

I Parroci, i Rettori, i Superiori Religiosi sono responsabili dell’esecuzione del presente decreto”.

Non vi poteva essere conclusione più bella : ”i fedeli si astengano da atti contrastanti la vera devozione”. I Parroci, i Rettori sono responsabili, questo è giusto, ma che il popolo di Dio prenda coscienza della sua corresponsabilità appare chiaro dalle parole del nostro Cardinale, che non possono non trovare eco nella coscienza di ogni vero cattolico.

MJE

Dalla Lettera Pastorale del Cardinale Corrado Ursi

Per una chiesa viva comunità di salvezza.

Nuova Stagione 5/3/1970 n.10 e 11

……………….

I Pii esercizi

I giorni feriali si prestano egregiamente a rispondere anche ad un’altra esigenza dello spirito, quella rappresentata dai Pii esercizi che la Chiesa  non solo non condanna, ma raccomanda vivamente, purchè siano conformi alle leggi e siano ordinati in modo da essere in armonia con la Sacra Liturgia (Sacrosanctum Concilium, n.13.)

………………….

I Pii Esercizi, tuttavia, risponderanno a questa loro funzione nella misura nella quale i fedeli saranno stati opportunamente formati.

La degenerazione dei Pii Esercizi in forme devozionali contaminate da elementi magici e superstiziosi, infatti, nasce non soltanto da ancestrali tendenze mitiche, ma anche e soprattutto dalla diseducazione derivante da insufficiente catechesi e dalla strumentalizzazione, anche a fini economici o proselitistici delle devozioni popolari.

Senza ripetere cose già dette in altre circostanze invitiamo con fermezza i Parroci e i Rettori di Chiese all’osservanza integrale del Direttorio Liturgico Diocesano, che mentre salvaguardia la fede e la devozione dalle contaminazioni, offre al popolo cristiano alimento per la sua maturazione e presenta ai Fratelli di altre confessioni la testimonianza dell’autenticità della nostra missione pastorale eliminando il sospetto dello sfruttamento dei fedeli, mediante certe forme devozionali.


Parrocchia Maria SS. del Carmine alle Fontanelle

Diocesi di Napoli

Eminenza,

ogni anno migliaia e migliaia di persone vengono alle Fontanelle per visitare il cimitero, lo storico ossario della città di Napoli, testimonianza tra le più incisive dei drammi del popolo napoletano e della sua devozione verso le anime del Purgatorio.

La Parrocchia di Santa Maria del Carmine, edificata come chiesa del cimitero, e prima ancora la Parrocchia di Materdei, hanno cercato di assicurare, in stretto rapporto con la Curia Arcivescovile, che la frequentazione dell’ossario avvenisse rispettando la sua identità di memoriale della morte e di luogo di sepoltura.

La Parrocchia è stata inoltre sempre attenta a cogliere i cambiamenti che nell’ultimo cinquantennio hanno trasformato l’ossario da luogo di culto a bene culturale ed ha sollecitato e affiancato iniziative che tendessero a valorizzare il luogo, farne una risorsa per il quartiere e la città. L’associazione “I care” costituita nel 1986 è stato lo strumento con il quale la parrocchia è stata ed è presente.

Ma la straordinarietà del luogo, così come l’affermarsi di una dimensione culturale magica e misterica in larghi settori dell’opinione pubblica, richiedono oggi, come in alcuni momenti del passato, attenzione affinché non si ripropongano episodi di superstizione, o di interpretazioni folcloristiche e mercantili della storia del cimitero e della devozione verso le anime del Purgatorio.

In questa direzione la Parrocchia il 2 novembre scorso ha commemorato i defunti con una messa in chiesa e una processione nell’ossario, che ha visto un’ampia partecipazione dei fedeli delle Fontanelle ed ha avuto un carattere esclusivamente religioso. Inoltre “Icare” sta realizzando un programma che prevede visite guidate gratuite precedute da una specifica introduzione, l’apertura di un blog e la costituzione di un archivio storico dell’ossario. Si intende così essere presenti nella battaglia culturale che è in corso sulla ricostruzione della storia dell’ossario e del suo rapporto con la città.

L’associazione ha inoltre contribuito alla pubblicazione di un libro che ci è gradito regalarLe in occasione di questa sua visita alla nostra Parrocchia.

C’è anche la consapevolezza che ciò non basta.

Riteniamo necessario che venga ripristinato formalmente il rapporto tra la direzione comunale del cimitero, la società Napoli Servizi che ne ha la gestione, e la Parrocchia attraverso l’istituzione di una Rettoria che curi lo svolgimento delle cerimonie religiose ed eviti degenerazioni sia nel culto, che nell’utilizzazione del bene culturale.

Per raggiungere questo risultato chiediamo, Eminenza, il Suo sostegno.

Napoli Fontanelle, 18.11.2012

    Il parroco

Evaristo Gervasoni

  

Documento della Rete Sanità sul cimitero delle Fontanelle

 A tre anni dall’iniziativa della Rete della Sanità, che portò alla riapertura del cimitero delle Fontanelle, bisogna dire che i promotori di quell’iniziativa hanno avuto ragione. Il cimitero è entrato tra i beni culturali di maggior successo della città.

Naturalmente i problemi aperti sono tanti e vogliamo elencare quelli che riteniamo più urgenti al fine consolidare la sua apertura.

 L’identità del bene culturale oggi .

Il cimitero delle Fontanelle è un cimitero storico.  È dunque un bene culturale che deve essere sottoposto alle regole che vigono per i beni culturali e per i  cimiteri in cui non avvengono più sepolture, ma sono aperti al pubblico, come ad esempio i cimiteri militari.

Manifestazioni culturali al suo interno sono possibili, non davanti ai resti umani, ma in  un’area che deve essere attrezzata.

Gli atti di culto devono essere demandati ad una Rettoria che va ripristinata.

É  necessario che il cimitero abbia una sua Direzione Culturale, che gestisca il bene culturale in linea con quello che avviene in realtà simili. Tre esempi, tra i tanti possibili, chiariranno i problemi culturali che una direzione deve  affrontare e risolvere.

– Le bare di Filippo Carafa e di Margherita Petrucci hanno avuto nel tempo sistemazioni diverse: chi le ha decise e, soprattutto, in base a quali criteri ?

-È stata posta una piccola targa davanti al teschio del Capitano a ricordo della presentazione di un libro fatta dentro il cimitero: chi l’ha consentito e perché ? Alla prossima presentazione metteremo una nuova targa?

– La lapide dell’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore sta andando in rovina. La sua perdita sarebbe un danno grave alla documentazione sulla storia del cimitero. Chi deve intervenire?

La Direzione culturale del Cimitero dovrebbe essere affiancata da una Consulta delle Associazioni del quartiere e di quelle che organizzano le visite guidate, con poteri di proposta e di controllo.

La querelle che da decenni va avanti sulle competenze amministrative tra i diversi assessorati è penosa e non può essere lasciata, come in passato, ai rapporti di forza tra i diversi assessori: è di tutta evidenza che sono interessati sia l’ assessorato ai cimiteri (che gestisce gli altri cimiteri storici napoletani), che l’assessorato al sottosuolo, ma la direzione effettiva non può che essere dell’assessorato alla cultura per la peculiarità storica, religiosa e antropologica che è prevalente sulle altre caratteristiche del luogo.

 La storia del bene culturale.

  Il modo come viene presentato il cimitero ai visitatori è un problema. I molti scritti che si sono succeduti negli ultimi tempi sono espressione di quel postmoderno alle vongole che ha abbandonato i filoni gloriosi della cultura napoletana per rinchiudersi in visioni misteriche e devozionistiche della storia della città. In questo, come in altri luoghi della città, si tende a forzare i dati storici e antropologici per presentare una realtà intessuta di magia e superstizione. La recente polemica sul cosiddetto “Cavaliere di Toledo” è emblematica della deriva culturale che da tempo ha investito la città. Bisogna riportare la storia del cimitero ai suoi tre aspetti principali: la storia delle sepolture a Napoli; la storia delle devozioni e della religiosità – cioè del rapporto tra fede e società; la storia delle grandi calamità che hanno periodicamente colpito la città.

Ferma  restando la libertà delle opinioni, c’è il problema delle visite guidate che, soprattutto se fatte da guide autorizzate dalla Regione Campania, non possono non attenersi a degli standard culturali minimi. Non si tratta di mettere in moto meccanismi di dirigismo culturale, ma di invitare coloro che fanno le guide a seguire dei brevi incontri in cui vengono presentati documenti, dati storici del cimitero e bibliografie che poi saranno liberamente e individualmente elaborati.  Il Comune di Napoli deve fare una brochure breve e semplice da dare gratis a ogni visitatore. Se ci sono difficoltà economiche si può dare anche una fotocopia! La ricerca storica e antropologica sui temi sopra indicati deve continuare  e investire innanzitutto le istituzioni a ciò demandate:  Università e Istituti di Ricerca.

Utilizzazione del bene culturale.La gestione attraverso Napoli Servizi ha consentito una continuità nell’apertura; la gratuità delle visite è stata ed è positiva, perché incentiva la conoscenza del cimitero. Ma in tempi certi bisogna arrivare ad una gestione economica del bene culturale, altrimenti la prospettiva sarà incerta. D’altra parte, oggi la maggioranza delle visite è fatta da Associazioni che fanno pagare un contributo che va dai cinque ai dieci euri. Che una parte di questi introiti, anche piccola, vada alle casse comunali, è  giusto.

Napoli Sanità, maggio 2013


 

[2] R. Civitelli, Filippo Carafa di Cerreto e l’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore al cimitero delle Fontanelle, Napoli 2013, p. 15.

[3] R. Civitelli, Il cimitero op cit., p.56.

[4] “Nuova Stagione”, n. 5, 1971.

[5] “Nuova Stagione”, n. 8 luglio 1971 n. 28 p.4.

[6]  “Il Tetto” n.  43/441971, p.56.

[7]  “Il Tetto” n.76  1976 p.377. R. Civitelli, cit. p.69

[8] S. Luzzatto, Quei miracoli fatti in casa, “Il Sole 24 Ore”, 10 giugno 2012.

[9] E. Fattorini, Italia devota, Religiosità e culti tra Otto e Novecento, Carrocci editore, 2012

[10] F. Dei, Università di Pisa, Dove si nasconde la cultura subalterna? Folk e popular nel dibattito antropologico italiano. www.fareantropologia.it, 21 febbraio 2010.

 [11] R. Civitelli, Filippo Carafa di Cerreto e l’Arciconfraternita di San Giuseppe Maggiore al cimitero delle Fontanelle, Napoli 2013